04Ott

GLI ALIMENTI SIMILI AGLI ORGANI CHE CURANO

Nessuna malattia può guarire per contrapposizione, ma solo grazie al suo simile”. – Paracelso

SIGNATURA RERUM

 

La straordinaria dottrina delle “segnature” o “firme” si trova non solo negli antichi volumi di Theophrastus Bombastus Von Hohenheim detto Paracelso, nei quali egli svelò alla scienza la “Signatura Rerum”, ma anche negli studi del filosofo Jakob Böhme secondo cui il Creatore (l’Ordinatore Supremo) ha contraddistinto tutto ciò che ci circonda con un “segno” personale e caratteristico, attraverso un curioso linguaggio di simboli e di analogie.

Una pianta con parti somiglianti ad organi umani, apparati o funzioni è utile per curare o sostenere quegli organi, apparati o funzioni. Questo concetto è ben confermato dai cultori delle Medicine Naturali i quali e non solo per antica tradizione, affermano che un alimento o pianta con una forma o una struttura “somigliante” ad un organo corporeo o a una funzione fisiologica o ad un elemento presente nel corpo umano è considerato aver una funzione terapeutica e benefica per la persona che se ne nutre o lo assume secondo le modalità e quantità prescritte.

Alla fine del Cinquecento la dottrina delle segnature raggiunse la sua massima formulazione con la Fitognomica di Giovambattista Della Porta, autore di una sorta di «fisiognomica» delle piante, da lui messe in parallelo con le caratteristiche del corpo umano, e le cui fenomenologie sono chiavi indicative o «firme» delle loro proprietà medicamentose. In questa sua opera del 1588 (Phytognomonica) Della Porta indagò a lungo la vasta rete di corrispondenze segrete che intrecciano il mondo, e collegano non solo piante e uomini, ma anche minerali, animali, uomini, luoghi, stagioni, astri.

Già nell’antica Cina furono riconosciute queste “firme” infatti vi era una classificazione secondo la quale il colore e il sapore delle piante corrispondesse all’organo che andavano a curare:

• Giallo e dolce = milza
• Rosso e amaro = cuore
• Verde e acido = fegato
• Nero e salato = polmoni

Si ricordi che anche il principio fondamentale dell’Omeopatia, tratteggiato da Samuel Hahneman, descrive chiaramente la legge dei simili (similia similibus curantur).

Di queste osservazioni si è avvalso anche E. Bach sperimentando e poi utilizzando con successo i suoi famosi “fiori terapeutici” che si basano proprio sulle loro ben precise signature.

IL POMODORO FA BENE AL CUORE

Il pomodoro ha quattro camere ed è rosso come il sangue. È un frutto ricco di potassio e ferro, per questo è particolarmente importante per il cuore e il sangue. È inoltre ricco di un antiossidante (licopene), presente principalmente nella buccia, che migliora la prevenzione dell’osteoporosi e riduce il livello del colesterolo, nonché contiene beta carote e vitamina C.

LE NOCI SONO UTILI AL CERVELLO

La noce assomiglia a un encefalo in miniatura, con un emisfero destro e un emisfero sinistro, 2 cerebri in alto e 2 cervelletti in basso. Persino le rughe o pieghe della superficie richiamano la neo-corteccia. Le noci sono ricche di nutrienti molto importanti per il funzionamento del cervello. Da un punto di vista nutrizionale sono composte da un 16% di proteine, 12% di glucidi e 60% di grassi, per lo più monoinsaturi, ovvero grassi buoni come omega 3 e 6.

IL SEDANO RINFORZA LE OSSA

Il sedano, il bok choy, il rabarbaro e altre piante hanno una struttura che assomiglia proprio alle ossa. Questi alimenti sono specificamente diretti a rafforzare le ossa. Il sedano è composto per il 23% circa di sodio di buona qualità, che è la stessa quantità presente nelle ossa. Quando parliamo di sodio di buona qualità intendiamo quello che non proviene dal sale raffinato. Molto importante sia per le ossa che per la coagulazione del sangue è la presenza della vitamina K.

L’AVOCADO FA BENE ALL’UTERO

Avocado e pere sono mirati alla funzione e alla salute dell’utero e della cervice della donna ed hanno proprio l’aspetto di questi organi. Se ogni donna mangiasse almeno un avocado alla settimana, ridurrebbe il rischio di molte malattie. Infatti, l’avocado aiuta ad equilibrare gli ormoni, riducendo il rischio del cancro dell’utero e degli ovari. Aiuta inoltre a perdere peso dopo la gravidanza. Un’altra “coincidenza” curiosa: dal momento in cui nasce il fiore al momento in cui il frutto è pronto, passano 9 mesi!

LA PATATA DOLCE È OTTIMA PER IL PANCREAS

Le patate dolci assomigliano, secondo la signatura, al pancreas e di fatto possono agevolare l’equilibrio dell’indice glicemico, anche nei diabetici. Tra i vari benefici, la patata dolce è ricca di carotenoidi, pigmenti arancio-gialli, che svolgono un ruolo fondamentale per rispondere all’insulina, equilibrando il livello degli zuccheri nel sangue.

LA CAROTA FA BENE AGLI OCCHI

La carota affettata (per traverso) assomiglia molto all’occhio umano. Pupilla, iride e linee a raggiera sono evidenti. Quante volte non ce lo siamo sentiti dire! La carota aumenta il flusso sanguigno verso gli occhi, migliorandone il funzionamento. È, inoltre, ricca di vitamina A , fondamentale per la salute della pelle (anti invecchiamento) e la prevenzione di vari tipi di cancro.

L’ARANCIA È BENEFICA PER IL SENO

Pompelmi, arance e altri agrumi assomigliano alla ghiandola mammaria. Tra i molti benefici, l’arancia aiuta a prevenire il cancro del seno e ne migliora il circolazione linfatica. Come sappiamo è ricca di vitamina C, A e vi molte vitamine del gruppo B, che svolgono un ruolo importante per  la ricostituzione del collagene.

LO ZENZERO GIOVA ALL’INTESTINO

Come sappiamo è considerato un super alimento, per i molti benefici. Tra questi, grazie ai suoi enzimi, è utile per prevenire varie malattie dello stomaco, per migliorare la digestione e prevenire i crampi. Serve inoltre ad evitare l’ulcera e a mantenere la mucosa in buona salute.

I FUNGHI SONO UTILI ALL’UDITO

È uno dei rarissimi alimenti che contiene vitamina D, che è molto importante per la prevenzione della perdita dell’udito. Sono anche un’ottima fonte di minerali, in particolare di potassio, di alcune vitamine del gruppo B e di antiossidanti.

I FAGIOLI FANNO BENE AI RENI

Osservandoli bene hanno esattamente la forma del rene, con tanto di bacinetto e surrenali. Un altro alimento noto per le proprietà nutrienti, è anche molto importante perché aiuta a mantenere attive e funzionali le funzioni renali. Sono ricchi di proteine (23% ca), fibre (17% ca) e di carboidrati (51% ca), per questo sono molto calorici. Sono inoltre ricchi di vitamine A, B, C e E, nonché di sali minerali e oligominerali.

LE OLIVE SOSTENGONO LA SALUTE DELLE OVAIE E DELLE GHIANDOLE LINFATICHE

Approfondimenti clinici hanno inoltre dimostrato che il particolare rapporto fra gli acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi che caratterizzano la composizione dell’olio dell’oliva e la naturale presenza di tocoferoli e polifenoli, fanno sì che esso possegga una serie di preziose proprietà, quali un’azione ritardante l’invecchiamento cellulare, un azione preventiva nei confronti della formazione di calcoli biliari, un effetto antitrombotic

LE CIPOLLE PURIFICANO LE CELLULE

Le cipolle assomigliano, secondo la signatura, alle cellule del corpo. Si può notare il nucleo e gli strati di citoplasma. Le ricerche della scienza dell’alimentazione mostrano che le cipolle aiutano, in un certo senso, a ripulire i materiali di scarto da tutte le cellule del corpo. Stimolano anche la lacrimazione che pulisce gli strati epiteliali degli occhi anche da impurità. Le cipolle contengono Metionina che è un aminoacido grande purificatore delle cellule epatiche. La cipolla è utile come ottima prevenzione

L’ARACHIDE GIOVA AI TESTICOLI E ALLA LIBIDO

Oltre alla vitamina E ed all’Inositolo ed allo Zinco in esse contenuti, che favoriscono la fertilità, molte persone non si rendono conto che l’Argentine, componente del Viagra, viene dall’arachide. Se snoccioli un’arachide ed apri il seme in due, all’estremità troverai un simbolo piccolissimo: un coniglietto che simboleggia la fertilità, la fecondità e l’abbondanza, anche se tradizionalmente sono state inserite tra la frutta secca in realtà si tratta di un legume (Arachis Hypogea) che in greco significa “sottoterra”. D’origine americana l’arachide ha una ricchezza di proteine vegetali e grassi con molti sali come fosforo (importante per la molecola base dell’energia ATP (adenosintrifosfato).

IL PISTACCHIO CONTRO I CALCOLI BILIARI

Guardando bene la forma del pistacchio, la consistenza ed il colore ricordano veramente un calcolo biliare di colesterolo. Alcuni ricercatori americani invitano a consumarne 30 grammi al giorno (1 tazzina) 5 volte alla settimana in quanto possono aumentare il livello del colesterolo HDL (quello cosiddetto buono). Il pistacchio ha inoltre la capacità di tenere sotto controllo la pressione e prevenire l’ipertensione. Ricco di antiossidanti come la luteina e betacarotene. Questi antiossidanti evitano che le pareti dei vasi sanguigni si ricoprano di colesterolo. Per meglio comprendere la capacità del pistacchio di spaccare questi depositi di colesterolo bisogna risalire alla “signatura” della pianta che lo produce. La Pistacia Terebinthus è un arbusto particolarmente forte che non soffre né caldo né vento né siccità né altre intemperie e le sue radici sono in grado di spaccare rocce e sassi (in Sicilia la Pistacia è anche chiamata “spaccasassi”) per aprirsi una via di crescita anche nei terreni più difficili. Si capisce ora come possa agire sulle concrezioni di grassi nelle arterie.

I FICHI CONTRASTANO LA STERILITÀ MASCHILE

I fichi sono pieni di semini (che ricordano gli spermatozoi), e quando crescono pendono dal ramo a coppie come i testicoli. I fichi, per la signatura rerum, migliorano la qualità dello sperma maschile, aumentando i numero degli spermatozoi e rinforzandoli; contrastano così la sterilità maschile. Il fico ricorda, osservandolo bene, anche l’interno dell’intestino tenue con i suoi villi intestinali per cui i fichi sono utili anche come blandi lassativi. Molti autori affermano che sono indicati anche per i disturbi dell’utero.

LA BANANA È LEGATA ALL’ORGANO SESSUALE MASCHILE

La banana è simbolicamente legata alla forza dell’organo sessuale maschile. È vero! Sembra una forzatura goliardica ma non lo è. Energia: con sole 100 calorie circa, la banana contiene saccarosio, fruttosio e glucosio, che forniscono un immediato rifornimento d’energia. Gli sportivi mangiano per questo motivo le banane prima e dopo la loro attività. Buon umore: Banana è un frutto di longevità. Il triptofano contenuto nella banana, è un aminoacido essenziale responsabile per la produzione di serotonina. La serotonina è un ormone che riduce lo stress e migliora il tono dell’umore.

Ogni essere che si trova nell’universo, secondo la sua natura e costituzione, contribuisce alla formazione dell’universo stesso, col suo agire e con il suo patire, nella stessa maniera in cui ciascuna parte del singolo animale, in ragione della sua naturale costituzione, coopera con l’organismo nel suo intero, rendendo quel servizio che compete al suo ruolo e alla sua funzione. Ogni parte, inoltre, dà del suo e riceve dalle altre, per quanto la sua natura ricettiva lo consenta”. – Plotino

 

15Ago

LE 7 ABITUDINI DELLE PERSONE INFELICI

Basta poco per rendere felice una vita; è tutto dentro di te, nel tuo modo di pensare.” – Marco Aurelio

COSA CI RENDE INFELICI

 

Le circostanze esterne possono certamente rendere la nostra vita complicata, ma un ruolo estremamente importante – spesso decisivo – nel costante tentativo di essere felici è svolto dal nostro pensiero, dai nostri comportamenti, dalle nostre abitudini.

Se sulle circostanze esterne spesso non abbiamo il potere di incidere perché al di fuori della nostra sfera di influenza, il nostro atteggiamento e le nostre abitudini sono invece elementi sui quali abbiamo la possibilità di esercitare un controllo totale.

Ecco degli esempi di alcune delle abitudini quotidiane più distruttive che le persone infelici si creano da sole e che contribuiscono a minare in modo decisivo la loro felicità.

1) TEMONO IL GIUDIZIO DEGLI ALTRI

 Molte persone hanno una preoccupazione costante nei confronti delle opinioni e dei giudizi degli altri al punto che, pur di non prestare il fianco a critiche o commenti negativi, di fatto scelgono di non esporsi, rimangono dietro le quinte e finiscono per vivere un’esistenza estremamente limitata. Ma perché precluderti interessanti esperienze e stimolanti novità solo perché qualcun altro potrebbe fare dei commenti su di te?

  • Come superare questa abitudine

Prendi consapevolezza del fatto che gli altri si preoccupano di ciò che dici e di ciò che fai molto meno di quanto pensi

Rilassati, perché non c’é nessun riflettore puntato su di te.

Cambia prospettiva: invece di pensare costantemente a te stesso e a come gli altri ti percepiscono, concentra la tua attenzione sugli altri e sui loro bisogni. Ascoltali, aiutali. Questo ti aiuterà a incrementare la tua autostima e a limitare la tua visuale egocentrica. 

2) SI COMPLICANO LA VITA 

La vita è spesso già troppo complicata di per sé. Ma altrettanto spesso siamo noi stessi a renderla ancora più complicata di quanto effettivamente non sia, e questo nostro atteggiamento contribuisce in modo decisivo a innalzare i nostri livelli di stress e insoddisfazione. È vero che il mondo è sempre più complesso, ma questo non significa che non puoi iniziare a creare già oggi delle nuove abitudini che rendano la tua vita un poco più semplice. 

  • Come superare questa abitudine

Invece di dedicarti contemporaneamente a mille e più attività tra la frenesia e la confusione, prova a stabilire ogni giorno 2-3 priorità su cui focalizzare la tua attenzione e occupati soltanto di esse. Hai troppe cose che contribuiscono a creare caos e confusione. Inizia a prendere l’abitudine di domandarti con regolarità: “ho usato questa cosa nell’ultimo anno?”. Se la risposta è no, buttala o regalala senza pensarci troppo!

Comunica: non aspettarti che gli altri siano in grado di leggere nella tua mente e di anticipare sempre le tue aspettative. Esprimi ciò che senti, fai domande quando non capisci e non dare nulla per sottinteso o per scontato. Questo ti aiuterà a ridurre al minimo conflitti inutili e incomprensioni.

Disconnettiti: non lasciarti ossessionare dal bisogno di essere costantemente connesso a internet, inviare l’ennesimo sms o rispondere al telefono mentre stai parlando con una persona. Quando ti senti sopraffatto dalle circostanze, in preda allo stress e alla confusione, semplicemente fermati. Siediti comodamente e concentrati sul tuo respiro per alcuni minuti senza fare nulla e senza pensare ad alcunché. 

3) ASSOCIANO LA FELICITÀ ALLA PERFEZIONE 

È forse necessario che la tua vita sia perfetta affinché tu possa ritenerti felice? Se credi che la perfezione sia la premessa indispensabile della felicità, allora con tutta probabilità sei destinato a rimanere deluso dalla verità dei fatti. La felicità non puoi trovarla nella perfezione, quanto piuttosto nella capacità di sapere gestire il mondo di imperfezioni e difetti che contraddistingue te e il mondo che ti circonda.

  • Come superare questa abitudine

“Buono” va benissimo: mirando alla perfezione di solito significa arrovellarsi su un’idea o un’iniziativa e non portarla mai a termine. Ciò che è buono spesso è ciò di cui hai bisogno, senza necessità di arrivare alla perfezione. Questo non significa agire pigramente o non aver cura dei dettagli, ma riconoscere il valore di ciò che già è ben fatto pur non essendo ancora perfetto.

Ogni volta che ti dedichi a un progetto o a un’iniziativa, poniti una scadenza entro cui completarla. Arrivato alla scadenza, considera come completato il lavoro: questo ti aiuterà a liberarti dell’idea che il progetto richieda ancora delle rifiniture forse inutili.

Prendi consapevolezza del fatto che il mito della perfezioni ti costa moltissimo in termini di energie fisiche e mentali. Fai del tuo meglio per fare bene le cose e poi rilassati, senza ossessionarti. Ne guadagnerai in serenità e in qualità della vita e delle relazioni.

 4) VIVONO IN UN MARE DI VOCI NEGATIVE

Nessuno è un’isola. Coloro con i quali socializziamo, ciò che leggiamo, guardiamo e ascoltiamo ha un notevole effetto sul nostro pensiero e sul nostro stato d’animo. Diventa molto più difficile essere felice se ci si lascia trascinare giù dalle voci negative di coloro che sono intorno a noi. Molte voci che sanno guardare l’esistenza soltanto da una prospettiva negativa ci dicono costantemente che la vita è piena di difficoltà, pericoli, limiti e paure. 

  • Come superare questa abitudine

Lo strumento più potente che hai a disposizione è quello di sostituire le voci negative e pessimiste con pensieri e influssi positivi: questo semplice approccio può aprirti un nuovo mondo. Prova allora a trascorrere più tempo con persone positive e solari, ascolta musica e leggi libri che ti ispirino, ti facciano sorridere e pensare alla vita in un modo nuovo.

5) RIMANGONO BLOCCATI NEL PASSATO E SI PREOCCUPANO DEL FUTURO 

Trascorrere molto del tuo tempo con la mente nel passato e rivivere vecchi ricordi dolorosi, conflitti e opportunità, può fare davvero male. Trascorrere molto del tuo tempo con la mente nel futuro preoccupandoti degli scenari peggiori che potrebbero accaderti in salute, in amore e sul lavoro, può fare ancora più male. Non fermarti a cogliere in pieno e ad assaporare il “qui e ora” può farti rinunciare a una miriade di esperienze meravigliose.

  • Come superare questa abitudine

E’ praticamente impossibile non pensare al passato o al futuro. Ed è ovviamente importante saper pianificare il futuro e cercare di imparare dal passato. Ma soffermarsi troppo a lungo sul domani o sullo ieri raramente è di troppo aiuto.

Prova allora, ogni volta che puoi, a vivere semplicemente nel momento presente. Concentrati su quello che stai facendo, qualsiasi cosa tu stia facendo, anche la più banale. Se stai spazzando il pavimento, dedicati esclusivamente a questo, senza pensare ad altro. Se stai parlando con qualcuno, dedicagli la tua completa attenzione, senza distrazioni. E così via…

6) CONFRONTANO LA PROPRIA VITA CON QUELLA DEGLI ALTRI

Un’abitudine quotidiana molto diffusa e allo stesso tempo estremamente distruttiva è quella di confrontare continuamente la propria vita con quella delle altre persone. Si mettono a confronto automobili, case, posti di lavoro, scarpe, denaro, relazioni, popolarità sociale e così via. E così facendo si finisce per annientare la propria autostima e generare una mole significativa di sensazioni negative.

  • Come superare questa abitudine

Prova a sostituire questa abitudine distruttiva con altre due diverse abitudini.

Confrontati con te stesso. Per una volta, lascia stare gli altri e concentrati soltanto su te stesso. Valuta quanto sei cresciuto, cosa hai raggiunto, quali progressi hai compiuto verso il raggiungimento dei tuoi obiettivi. Questa abitudine ha il vantaggio di generare gratitudine, apprezzamento e gentilezza verso te stesso, perché ti offre l’occasione di osservare da dovei sei venuto, gli ostacoli che sei riuscito a superare e tutto ciò che di buono sei stato in grado di compiere.

Sii gentile. Il modo di pensare e di comportarsi verso gli altri riveste un ruolo considerevole su come pensi e come ti comporti verso te stesso. Più giudichi e critichi gli altri, più tenderai a giudicare e a criticare te stesso. Più sarai gentile e disponibile con gli altri, più lo sarai con te stesso. Luca 6:27 “Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati”.

Concentrati sulle cose positive presenti in te stesso e nelle persone intorno a te. Apprezza ciò che di positivo c’è in te stesso e negli altri.

7) SI CONCENTRANO SUGLI ASPETTI NEGATIVI DELLA PROPRIA VITA

Focalizzarti costantemente e in modo pressoché esclusivo sugli aspetti negativi di qualsiasi situazione è la via maestra per condurti all’infelicità. E per far crollare il buon umore di coloro che ti sono intorno. Non è uno scenario molto attraente, vero? 

  • Come superare questa abitudine

Il superamento di questa abitudine può essere tutt’altro che agevole. Un approccio molto spesso efficace è quello di liberarsi dal vizio del perfezionismo: accetta che le cose e le situazioni abbiano i loro aspetti positivi e negativi piuttosto che pensare che tutti i dettagli debbano necessariamente essere a posto in modo impeccabile. In questo modo puoi riuscire in modo più agevole a lasciarti scivolare via sia emotivamente che mentalmente ciò che è negativo, invece di soffermarti su di esso e amplificarne la portata.

Un’altra soluzione vincente è semplicemente quella di concentrare i tuoi sforzi e le tue energie sull’essere costruttivo, anziché lasciarti vincere dall’abitudine di lamentarti di ogni dettaglio negativo.

01Ago

COLONNA VERTEBRALE: SCIATICA, ERNIA AL DISCO, SCOLIOSI

Se la tua colonna vertebrale è inflessibile e rigida a 30 anni, sei vecchio; se è completamente flessibile a 60, sei giovane. Pertanto cura la tua colonna vertebrale mantenendola mobile: è di fondamentale importanza. Hai solo una colonna vertebrale: abbine cura”. – Joseph Pilates

LA COLONNA VERTEBRALE

Premessa: questa pagina tratta di un modello eziologico che spiega le cause psichiche delle cosiddette malattie.

Per seguire questo approccio è fondamentale avere dimestichezza con la funzione biologica dei tessuti coinvolti e sapere riconoscere le fasi del processo.

Il mal di schiena, la sciatica, l’ernia discale, la scoliosi, come tutte le condizioni che interessano i tessuti muscolari, cartilaginei e ossei, sono processi condotti dall’innervazione della sostanza bianca, secondo lo schema embrionale del mesoderma recente.

Muscoli, cartilagini e ossa in Fase Attiva fanno necrosi e/o atrofia (senza sintomi), mentre in PCL gonfiano con edemi di riparazione (con sintomi e dolori) e proliferazione cellulare (con eccedenza).

La colonna vertebrale attraversa tutto il busto con funzione di sostegno, ma in base al movimento a cui è preposto, ogni gruppo di vertebre si attiva per affrontare gli ostacoli inaspettati della vita.

Ecco allora che per le cervicali la percezione biologica che attiva la reazione fisiologica è “non sentirsi all’altezza“. Il dolore e i sintomi in quell’area si presentano quindi 1 o massimo 2 ore dopo la precisa percezione di “finalmente c’è l’ho fatta, sono stato all’altezza” in un atto materiale, concreto. Nel caso di sintomi cronici ci si trova, come sempre, in un loop di recidive che mantengono la condizione per lunghi periodi.

L’area della vertebra D1, con muscoli e cartilagini attigui, entra in fase attiva per un sentito di “dover abbassare la testa“. I dolori compaiono quindi dopo “essere riusciti a rialzare la testa“.

L’area delle vertebre D2 e D3 si attiva per il “non riuscire a portare un peso sulla groppa“, sono le vertebre su cui poggia il giogo. I sintomi si manifestano dunque in seguito a “sono riuscito a liberarmi di questo peso da portare“, ovvero ci si è liberati con un atto concreto anche apparentemente piccolo, così i tessuti che erano sotto stress possono iniziare a ripararsi.

L’area delle vertebre dalla D4 alla D8 si attiva con una percezione di “mi sento chiuso dentro“, senza libertà per la mia esistenza (stesso sentito cui fa riferimento frontalmente lo sterno). Un improvviso dolore in quella zona è una soluzione (1-2 ore prima) di “ho ripreso il mio diritto di esistere“. Sintomi cronici o condizioni molto accentuate sono, lo ricordo, situazioni che perdurano in routine continue in cui si è in qualche modo incastrati.

L’area delle vertebre dalla D10 alla L2 corrisponde alla “groppa“, e la reazione in fase attiva avviene quando “qualcuno mi salta in groppa, mi sottomette“. I sintomi compaiono proprio nel momento in cui “non riuscivo a sgropparmi di dosso quella persona, adesso ce l’ho fatta“.

L’area delle vertebre dalla L3 alla L5 fino al Sacro risponde al non sentirsi valido come interlocutore, non ascoltato. Una percezione che si inserisce nel ruolo che una persona ha all’interno della società (lavoro, famiglia): sono le vertebre che permettono alla bestia di ergersi sulle sue zampe posteriori, ergersi di fronte al branco.

Mentre la L4 riguarda una svalutazione più prettamente nel ruolo sessuale “non sentirsi validi come partner sessuale“, la L5/S1 riguarda un “non sentirsi valido come interlocutore“, “non avere voce in capitolo“, per esempio: “non mi ascolta mai, la mia parola non conta niente“.

Un mal di schiena lombare improvviso appare dunque quando “finalmente ho avuto voce in capitolo, sono stato ascoltato“.

L’area del coccige ha a che fare con un sentirsi sottomesso, “non essere riuscito a evitare di prenderla in quel posto“.

La cosiddetta “sciatica” è dovuta nella maggioranza dei casi (analogamente al comune mal di testa), alla compressione dei nervi sciatici da parte degli edemi di riparazione (PCL) dei tessuti nell’area lombo-sacrale, compressione che produce il dolore percepito lungo la gamba, spesso non statico ma come punti dolorosi che si spostano, in base al modo in cui il nervo viene compresso. Se invece il dolore viene percepito su tutta la lunghezza del nervo, è probabile che si tratti di nevralgia, ovvero infiammazione ectodermica del nervo stesso che si manifesta in soluzione PCL di conflitti di separazione.

La comune ernia al disco a livello L5/S1 spesso accompagnata da compressioni al nervo sciatico, è quindi il risultato di lunghi periodi di recidive, situazioni-gabbia all’interno del proprio ambiente (lavoro, famiglia…) in cui ci si sente di “non essere un valido interlocutore, non essere ascoltato, non avere voce in capitolo“.

Come tutti i programmi biologici del neo-encefalo, anche i sintomi della colonna vertebrale seguono le leggi di lateralità, per rapporto a mamma o papà.

La scoliosi (come tutti gli altri spostamenti della spina dorsale) è quindi il risultato di un lungo permanere dell’organismo, durante lo sviluppo, in una posizione in cui le vertebre, le cartilagini o i muscoli necessitano di mantenersi in fase attiva con necrosi e atrofia, in modo più o meno accentuato, in base alle percezioni biologiche che abbiamo elencato sopra.

Siccome il processo avviene, secondo lateralità, su un lato più che sull’altro, muscoli e vertebre si sviluppano in modo diverso creando la curva scoliotica. Di solito la curva ad S denuncia una conflittualità in una area nello scheletro e la curva successiva è la conseguenza compensatoria della prima.

IL DOLORE

Per quanto riguarda il dolore, questo è dovuto:

  • Rispetto alle ossa, allo stiramento del periostio innervato dalla corteccia cerebrale;
  • Allo schiacciamento meccanico dei nervi per i gonfiori;
  • Nei muscoli per diretta conseguenza della trazione degli edemi nei tessuti.

Questo almeno all’inizio, e in una curva bifasica teorica.

Il problema dei tessuti neo-mesodermici è che, successivamente, il conflitto può diventare locale, cioè è lo stesso dolore a creare attenzione e svalutazione, producendo recidive nella zona e spesso prolungando la convalescenza (un approfondimento sui conflitti locali nella monografia LE RECIDIVE).

Da non dimenticare poi il contributo che può portare il “conflitto del profugo” che, aumentando il volume degli edemi nel corpo, aumenta a dismisura anche i dolori.

 

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Testo tratto dall’articolo di Mauro Sartorio, Fondatore di 5LB Magazine, autore del libro “Noi Siamo Il Nostro Corpo”, vice-presidente di Salute Attiva Onlus, si occupa di sviluppo dell’attenzione corporea.

Un modo di procedere che adotta il grado di dettaglio acquisito dalla Formazione Professionale 5LB, che in sé non è la dimostrazione di qualcosa (non in questo contesto) ma fornisce strumenti precisi per permettere a chiunque di verificare questi fenomeni di persona. Per i principianti sarà necessario leggere almeno la nostra introduzione alle 5 Leggi Biologiche.

Per un dettagliato approfondimento della eziologia 5LB è consigliato lo studio del libro Noi Siamo Il Nostro Corpo, di cui questo testo è un estratto.

 

La colonna vertebrale ha due estremità. L’inizio è il centro sessuale, la fine il sahasrara, il settimo centro in cima alla testa. L’inizio della spina dorsale è collegato alla Terra, e il sesso rappresenta la cosa più terrena in te. Dal primo centro della tua spina dorsale sei in contatto con la natura, con quella che il Shankya ha definito prakriti, la Terra, il materiale. Dall’ultimo centro, o secondo polo, il sahasrara, situato nella testa, sei in contatto con il divino. Questi sono i due poli della tua esistenza”. – Osho Rajineesh

01Ago

LA DIETA MEDITERRANEA

La cosiddetta dieta mediterranea, tradizionale per secoli in Italia, si è dimostrata efficace nel prevenire le malattie cardiovascolari, l’obesità, il diabete e i tumori. Il ritorno a un’alimentazione di tipo mediterraneo ha contribuito alla diminuzione della mortalità per malattie cardiovascolari”. – Prof. Umberto Veronesi

COS’È LA DIETA MEDITERRANEA

Per dieta mediterranea si intende l’insieme degli alimenti che costituiscono la dieta degli abitanti dei paesi che si affacciano sul mare mediterraneo, alimenti prevalentemente di origine vegetale, ortaggi, frutta, cereali e legumi.
Questo tipo di alimentazione è considerata la più efficace per la prevenzione di obesità e malattie cronico degenerative come il diabete, tumori, ipertensione, per cui rappresenterebbe un modello salutare da seguire, poiché un’alimentazione equilibrata unita ad un corretto stile di vita sono la base essenziale per la nostra salute.

L’origine della dieta mediterranea è fatta risalire a circa 10.000 anni fa in medio oriente dove frumento, olio d’oliva e vino costituivano gran parte delle colture di questa terra, a cui successivamente grazie anche agli scambi commerciali, si aggiunsero altre piante e ortaggi che contribuirono progressivamente alla nascita della dieta mediterranea definitiva.

STUDI NEGLI ANNI ’50

Il termine alimentare che sta per “dieta mediterranea” venne invece “ battezzato” negli anni ’50 dallo studioso statunitense Ancel Keys, che richiamò l’attenzione internazionale sui bassi tassi di malattie cardiache in alcune aree del mediterraneo. Questo studioso effettuò numerosi studi per quanto riguarda l’alimentazione dei popoli dell’area mediterranea e asiatica confrontandoli con l’alimentazione dei popoli del Nord Europa e degli Stati Uniti. Infatti le popolazione delle zone mediterranee e di quelle asiatiche presentavano una minore incidenza di malattie cardiovascolari rispetto alle popolazioni del Nord Europa e degli Stati Uniti.

Ancel Keys prese come punto di riferimento le abitudini alimentari degli abitanti di Creta che presentavano un’incidenza particolarmente bassa di malattie cardiache e una più elevata aspettativa di vita, nonostante gli scarsi servizi medici previsti per l’epoca (anni ’50). Sempre negli anni ’50, Keys avviò lo “Studio dei Sette Paesi”, che interessò la Finlandia, l’Olanda, l’Italia, la Jugoslavia, la Grecia, il Giappone e gli Stati Uniti.

Risulta che nelle aree del mediterraneo (tra cui l’Italia e la Grecia) nonostante vi fosse un elevato consumo di grassi, soprattutto olio d’oliva, si godeva di una bassa incidenza di malattie cardiovascolari e si iniziarono a comprendere gli effetti fisiologici e salutistici degli acidi grassi monoinsaturi dell’olio d’oliva. Anche il Giappone, insieme, alle zone dell’area mediterranea, presentò una bassa incidenza di malattie cardiovascolari e presentava una dieta con un basso contenuto di carni e un elevato consumo di pesce (ricco di omega 3) e tè verde (con potere antiossidante). La Finlandia orientale, invece, risultò la zona con il più elevato tasso di malattie cardiovascolari, dovuto alla dieta particolarmente ricca di acidi grassi saturi (carni e grassi solidi).

CRITERI DELLA DIETA MEDITERRANEA

La piramide definitiva alimentare della dieta mediterranea prevede:

  • Consumo mensile di carne rossa;
  • Consumo settimanale di pesce, pollame, uova;
  • Consumo giornaliero di farine grezze e integrali come pane nero, pasta e riso integrale, cereali (orzo, farro, cus cus), legumi, ortaggi, noci, mandorle, frutta, olio d’oliva e vino rosso.

E’ inoltre indicata l’attività fisica quotidiana, lunghe passeggiate all’aria aperta.

PARADOSSO FRANCESE 

Il “paradosso francese” invece riguarda il fatto che i francesi hanno un rischio di malattie cardiache pari ad un quarto di quello degli inglesi e degli scozzesi. Una funzione protettiva è stata associata ad un maggior consumo da parte dei francesi dell’olio d’oliva, del pesce, la frutta, la verdura, il vino rosso, grassi e pochi carboidrati. Questo paradosso (dovuto al Maggiore consumo di grassi e minore presenza di malattie cardiologica) è stato giustificato dal rilevante consumo di vino rosso in cui è presente una grande quantità di polifenoli (tra cui il resveratrolo) che hanno un potere antiossidante e protettivo per il cuore. Molti studi epidemiologici, infatti, hanno dimostrato che un moderato consumo di vino esercita effetti protettivi per quanto riguarda tutte le malattie cardiache.

DIETA MEDITERRANEA OGGI 

In definitiva chi pratica la dieta mediterranea in ogni caso ha risultati davvero sorprendenti, la mortalità per cardiopatia ischemica risulta infatti molto più bassa nel mediterraneo che in altri paesi.

Purtroppo però questo stile di vita e alimentazione è andato via via scomparendo con conseguenze allarmanti e drammatiche, soprattutto per quanto riguarda la malnutrizione, questa è una condizione biologica che si verifica quando gli apporti di energia e nutrienti sono carenti o eccessivi rispetto ai bisogni. La nostra Dieta mediterranea purtroppo va sempre di più americanizzandosi.

Delle antiche regole vigenti negli anni 50 rimane ben poco. La pubblicità dei prodotti alimentari oramai è uno dei principali strumenti di orientamento per il consumo alimentare nel nostro paese, e molto spesso i prodotti reclamizzati non sono idonei per una corretta alimentazione. A farne maggiormente le spese sono i più piccoli in quanto più esposti ai messaggi mediatici soprattutto perché i prodotti più sponsorizzati sono indirizzati a loro, con personaggi accattivanti che reclamano solo gli aspetti positivi di tale prodotto senza minimamente far accenno alle conseguenze negative che un alimentazione scorretta può portare. Attualmente il numero dei bambini obesi in Italia e in forte aumento, proprio in virtù del consumo di tutti questi prodotti spazzatura che sono ben lontani dai prodotti salutari presenti nella nostra antica dieta mediterranea.

DIETA MEDITERRANEA IN ITALIA 

L’Italia rappresenta ancora il prototipo della dieta mediterranea con la sua dieta apparentemente salutare a base di cerali, pasta, legumi, ortaggi, frutta, verdura, olio d’oliva, pane e vino, in effetti questo varrebbe solo per quanto riguarda le regioni del Sud Italia, infatti vi sono ancora oggi delle grosse differenze alimentari tra il nord e il sud. Diciamo che in grandi linee, più andiamo al nord e più ci allontaniamo dal mare e dalla dieta mediterranea; più scendiamo al sud e ci avviciniamo al mare, più ci avviciniamo alla dieta mediterranea.

BREVE VIAGGIO MEDITERRANEO NELLE TRE AREE D’ITALIA 

LIGURIA

Il nostro viaggio nella cucina dell’Italia settentrionale inizia dalla Liguria: una striscia di terra, costretta tra i monti e il mare, la cui cucina esprime il naturale connubio tra queste due anime del suo territorio. Possiamo affermare che il pesce e le erbe sono alla base della gastronomia ligure. Emblema assoluto ne è forse il pesto (fatto di olio di oliva e basilico con pinoli o nocciole) un vero concentrato di antiossidanti. Viene usato sia come salsa per condire la pasta, sia aggiunto ai minestroni di verdure.

In apparenza povera, perché fatta di alimenti semplici e comuni, la cucina ligure ha saputo arricchirsi di usi culinari esterni, grazie anche all’importanza di Genova nel passato. L’uso del baccalà, ad esempio, presenta grandissime quantità di omega 3.

PIEMONTE

Risalendo verso nord ci addentriamo in una cucina italiana più vicina a quella francese: quella piemontese. In essa, infatti, è notevole l’impiego del burro e del lardo, il consumo di verdure crude, la grande varietà di formaggi e l’uso diffuso del tartufo e dell’aglio. La cucina di questa regione presenta forti radici contadine ma, allo stesso tempo, suppone un’alta valorizzazione dei propri prodotti e risente degli influssi della cucina europea. Un altro alimento distintivo è il riso, coltivato nella provincia di Vercelli, detta “la risaia d’Italia”.

LOMBARDIA

Entriamo in Lombardia: questo vasto territorio mette in comune gastronomie di province molto diverse tra loro che presentano un denominatore comune: il pesce d’acqua dolce, il latte, i formaggi e il burro, la carne bovina e suina, il riso e il mais. La cucina lombarda è la cucina dei bolliti e degli stufati, degli intingoli adatti ad accompagnarsi alla polenta, del riso, delle paste ripiene, del burro e del lardo. Come si può ben capire, un po’ troppo contaminata dalla cucina del nord Europa.

EMILIA ROMAGNA

La cucina di Romagna, è assai più povera e semplice. La povertà di questa cucina è stata condizionata dalla presenza di piccole signorie instabili, con corti e mense di non forte lustro e poi dal lungo dominio dello Stato della Chiesa. I caratteri della cucina romagnola sono molto semplici e contadini; l’apporto della cultura marinara è di scarso peso e si estende unicamente nella zona costiera. La cultura gastronomica del pesce, seppur ristretta alla fascia costiera, è fondamentale in questa regione. Il vertice della cucina di mare di Romagna è infatti rappresentato dal cosiddetto brodetto.

ITALIA CENTRALE 

Definire l’Italia Centrale in due parole di tecnica gastronomica non è certo facile, le tradizioni culinarie delle quattro regioni che la compongono sono troppo diverse e senz’altro legate alle radici storiche e ai popoli che le abitarono: gli Umbri, gli Etruschi, i Romani e gli Ebrei. Eppure se volessimo riassumere in due aggettivi l’essenza di questa cucina, questi sarebbero sicuramente: semplice e sublime. In effetti, la Toscana, le Marche, l’Umbria e il Lazio condividono il segreto di una cucina popolare che esalta il sapore dei singoli ingredienti, pochi, spesso poveri, ma sempre di notevole qualità. Una cucina che si serve sapientemente dei prodotti a sua disposizione senza sprecare nulla.

TOSCANA 

La cucina toscana è sobria, genuina e raffinata. Sfrutta abilmente quanto le offre il territorio: pesci e frutti di mare sulla costa tirrenica, carni, uova, ortaggi (con il cavolo nero in testa) e legumi secchi (prevalgono i fagioli), nell’entroterra; castagne, funghi e patate nei pressi delle Alpi e dell’Appennino. L’alimento fondamentale è senza dubbio il pane, rigorosamente senza sale, un tempo troppo costoso, che è alla base di numerosissime ricette toscane come: la panzanella, la pappa al pomodoro, l’acquacotta e la ribollita. Altri rinomati piatti toscani sono il cacciucco, gustosissima zuppa a base di pesce e molluschi; ed infine la famosa bistecca alla fiorentina, la bistecca italiana per eccellenza, preparata con la carne chianina.

MARCHE

Le Marche rappresentano un punto di incontro tra la gastronomia settentrionale e quella meridionale. Cucina elaborata e raffinata, nella zona costiera punta su pesce e frutti di mare, cotti allo spiedo o nel tradizionale brodetto; nell’entroterra invece il principale ingrediente è la carne, di maiale e di cinghiale, dalla quale si ottiene un eccellente prosciutto da gustare in tocchetti e la famosa porchetta che i marchigiani ritengono una loro invenzione. Da non dimenticare le olive ascolane, simbolo gastronomico di Ascoli Piceno; i vincisgrassi maceratesi; lo stoccafisso in potacchio e le lumachelle all’urbinate.

UMBRIA 

I piatti della cucina umbra sono semplici e naturali, quasi monastici: i prodotti, sempre rigorosamente di stagione, vengono lessati o arrostiti, aromatizzati con un olio extravergine d’oliva leggero e saporito, verde come i boschi umbri e sicuramente uno dei migliori d’Italia. Fonte infinita di delizie gastronomiche, l’Umbria offre prodotti pregiati: protagonista indiscusso è il tartufo nero di Norcia, ingrediente di molti primi piatti della zona. Un posto altrettanto importante occupano le carni, di maiali e cinghiali che si nutrono di ghiande, mais e grano, sapientemente trasformate in salumi dai macellai di Norcia, considerati da molti i migliori del mestiere. Altri prodotti di rilievo sono le patate, i formaggi, le lenticchie di Castelluccio da Norcia, tanto tenere da non necessitare l’ammollo previsto per i legumi; il farro della Valnerina.

LAZIO 

Il Lazio segna la frontiera tra la ricchezza gastronomica del Nord e la cucina povera del Sud. La cucina laziale è rappresentata quasi esclusivamente dalla cucina romana, nella quale convergono tutte le specialità di zone confinanti e le tradizioni culinarie della regione, divenendo così un ricco riassunto di una gastronomia varia e di estrazione popolare. La cucina laziale nasce dal connubio fra la raffinata cucina ebraica e quella sorta intorno ai mattatoi che ha come protagonisti frattaglie, guanciali ed altri scarti.

ABRUZZO 

Il nostro viaggio nella cucina dell’Italia centrale termina con la cucina dell’Abruzzo e del Molise. La cucina abruzzese è una cucina dai sapori forti e robusti. Assai diffuso è l’uso dello zafferano che è alla base di molti piatti abruzzesi. Famosi, in tutta la regione, sono i maccheroni alla chitarra, conditi con un ragù di maiale e coniglio. L’agnello è alla base dei cosiddetti arrosticini, degli spiedini la cui cottura avviene su di un bracere dalla caratteristica forma allungata. L’Abruzzo è stato tradizionalmente una terra di pastori.

Settembre, andiamo. E’ tempo di migrare. Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori lascian gli stazzi e vanno verso il mare: scendono all’Adriatico selvaggio che verde è come i pascoli dei monti”. – D’Annunzio

MOLISE

Il Molise è la più piccola regione italiana dopo la Valle d’Aosta. Storicamente annesso all’Abruzzo, presenta attualmente una cucina molto simile a quella della regione vicina. Il suo territorio è caratterizzato da una vasta area montuosa e da una piccola striscia situata sulla costa adriatica. Questo aspetto territoriale si riflette anche all’interno della cucina molisana in cui domina la cultura del maiale. Sul breve tratto di mare domina la cucina marinara fatta di zuppe, minestre e risotti.

CAMPANIA

L’annessione di Napoli al Piemonte, ovvero i primi passi verso l’Unità d’Italia, fu celebrata da Camillo Benso, conte di Cavour con una manciata di pasta: “I maccheroni sono cotti e noi li mangeremo. Nonostante le differenze tra Nord e Sud, la pasta fa da trade union nel Belpaese, che, indubbiamente, anche dal punto di vista gastronomico, riflette una travagliata storia nazionale che contempla commistioni e conoscenze trasmesse da regione a regione e da città a città.

Il rapporto città e campagna, e ancor più tra ceti sociali diversi, è raffigurato nei piatti dell’arte culinaria. Spesso sono le città che vengono identificate con alcuni cibi, ma, in realtà, è dalla campagna che arrivano le specialità. Probabilmente perché i cuochi provenivano dai ceti più umili e servivano nelle case dei ricchi, portando con sé una tradizione alimentare essenziale su cui avevano la possibilità di innestare l’abbondanza degli alimenti che erano finalmente largamente disponibili.

Gastronomicamente Italia vuol dire pasta, gelato, e pizza, antichissimi ma da sempre di successo. La pizza, vero emblema nazionale è, in realtà, un piatto povero, nato a Napoli durante una terribile carestia. Quando si parla di gastronomia dell’Italia meridionale si ritrovano delle costanti in tutte le regioni, e, spesso, la cucina campana, rappresenta un punto di riferimento. Probabilmente per ragioni storiche, vincolate alle carestie e alla povertà, il cibo è per i meridionali una vera e propria fissa, spesso la principale paura è proprio quella di rimanere a digiuno. Perciò il mangiare, come momento di condivisione, rappresenta molto di più che il semplice nutrirsi.

Napoli, è rappresentata da Pulcinella, maschera napoletana durante l’epoca della Commedia dell’Arte. Il servo che ama mangiare ed è sempre alla continua ricerca di cibo, visto che avverte incessantemente un gran bisogno di sfamarsi. In alcuni film, poi, la pasta, ed in particolare, gli spaghetti sono stati spesso protagonisti di scena, sia sulla tavola dei ricchi che alla mensa misera dei poveri: cibo come realismo e specchio della vita quotidiana, cibo come icona dell’identità nazionale o come icona d’identità familiare. È indimenticabile Totò nell’opera di Scarpetta, nel film “Miseria e nobiltà” (1954), che danza sul tavolo assieme a Peppino De Filippo: i due mangiano con ingordigia afferrando e ficcandosi gli spaghetti un po’ ovunque, in bocca, nelle tasche dei pantaloni…

Di Napoli è anche Sophia Loren che nella sua produzione televisiva e cinematografica ama ostentare questa sua passione per il cibo. Addirittura la Loren è stata battezzata, dalla critica cinematografica, pizzaiola, poiché impersonò una sanguigna e prosperosa pizzaiola nel film a episodi “L’oro di Napoli” diretto da Vittorio De Sica.

Ingrediente fondamentale della pizza è il pomodoro. In realtà sin dal ‘600 si trovano le ricette delle pizzelle, dischi di pasta di pane, fritti, con condimenti assortiti. Ma bisogna aspettare verso la fine del ‘700, con l’arrivo in tavola del pomodoro per avere la pizza contemporanea. Le prime versioni di pizza con il pomodoro vengono condite con aglio e olio a crudo, o mozzarella e acciughe salate, e mantengono la classica chiusura “a pacchetto”, tipica del calzone.

La pizza Margherita, mostra i colori della bandiera nazionale, con mozzarella, pomodoro e basilico. L’entusiasmo della regina nei confronti della versione “patriottica” portò il pizzaiolo partenopeo ad un scelta storica: la pizza con mozzarella, pomodoro e basilico si sarebbe chiamata proprio come la regina.

È evidente che, quando si parla di gastronomia, a Napoli, il principe della cucina campana è il pomodoro, ingrediente principale per la pizza ma anche per il ragù, “o rraù” piatto tipico domenicale e base per altre pietanze altrettanto saporite, come ad esempio la tipica lasagna. È molto di più della semplice carne ca’ pummarola, come recita la poesia di Eduardo De Filippo, che veniva cotto su di una fornacella a carbone e doveva cuocere per almeno sei ore. Attualmente si usa chiamare ragù un sugo di pomodoro nel quale si è cotta della carne.

Ecco la poesia di Eduardo De Filippo che rende omaggio al ragù napoletano:

‘O ‘rraù
(Il ragù)

‘O rraù ca me piace a me
(Il ragù che piace a me)
M’ ‘o ffaceva sulo mammà
(Ma lo faceva solo mia mamma)
A che m’aggio spusato a te
(Da quando mi sono sposato con te)
Ne parlammo pè ne parlà
(Ne parliamo solo pour parlair)
Io nun songo difficultuso
(Io non sono difficile)
Ma luvàmmel’ ‘a miezo st’uso
(Ma è meglio che togliamo quest’abitudine)
Sì,va buono: cumme vuò tu
(Sì, va bene, come vuoi tu)
Mò ce avéssem’ appiccecà?
(Non è mica il caso di litigare?)
Tu che dice? Chest’ ‘è rraù?
(Tu che dici? Che questo è ragù?)
E io m’ ‘o mmagno pè m’ ‘o mangià
(Ed io lo mangio solo per mangiare)
M’ ‘ a faja dicere na parola?
(Posso dire giusto una parola?)
Chesta è carne c’ ‘ a pummarola
(Questa è carne con il pomodoro)

BASILICATA

Scendendo verso il Sud ed addentrandoci nelle montagne, incontriamo la Basilicata, terra molto ricca di tradizioni culinarie. La gastronomia lucana non appartiene ai riferimenti culturali, ma, senza alcun dubbio, la cucina lucana è tradizionalmente una sapiente unione di prodotti semplici e genuini, lontana dalle sofisticate elaborazioni della cucina moderna. Basti pensare che nella preparazione dei piatti è contemplato il solo uso dell’olio di oliva, mentre il burro, il burrino, è usato come formaggio.

PUGLIA

Proseguendo verso la costa adriatica, con il paesaggio punteggiato a perdita d’occhio dagli ulivi, lambito da 784 chilometri di costa e dominato dai rilievi calcarei delle Murge, la Puglia è il luogo dove le tradizioni della civiltà contadina si fondono e si confondono con il fascino del mare, in un’osmosi di idee, usi e tradizioni. La Puglia è il crocevia marittimo e terrestre fra oriente e occidente, la terra delle mille chiese, delle cattedrali romaniche, dei castelli federiciani e delle grotte. Anche la cucina pugliese è semplice, legata soprattutto al lavoro della terra, che non conosce gli apporti delle corti, ma ha elaborato piatti tipici dai molti sapori e profumi. Quattro i cardini di questa gastronomia: olio, grano, verdure e pesce. Dalla fascia costiera adriatica, tutta ammantata di stupendi oliveti, si ricava quell’olio che ha un posto d’onore in cucina e che rappresenta circa un terzo della produzione complessiva italiana. Nella pianura del Tavoliere si coltiva il grano duro, all’origine di innumerevoli tipi di pasta e del celebre pane pugliese, scuro e saporito. Molto diffuse e di qualità pregiata sono le produzioni ortofrutticole, alla base di piatti originalissimi, elaborati comunque in tutte le province senza differenze sostanziali.

Nella regione coesistono tre diversi modi di mangiare, probabilmente risalenti all’assetto dato alla Puglia da Federico II che, nel 1222, distinse la terra di Bari dalla Capitanata e dalla terra d’Otranto. Sono gli albori di quelle che saranno le attuali province di Foggia, Bari e Lecce. Le tre cucine presentano gli stessi piatti ma ognuna tende a differenziarsi secondo la propria tradizione. Farinacei, olio e vino costituiscono i tre pilastri dell’alimentazione popolare pugliese. Dal biondo grano di Puglia, la via della pasta si snoda tra produzione industriale e attività artigianale di pastifici e massaie. Ai vari tipi di pasta corrisponde una nutrita varietà di condimenti che si alternano nel menù domestico settimanale secondo un calendario quasi rituale. Le paste casarecce, ovvero fatte a mano, sono condite soprattutto con le verdure: pasta e cime di broccoli, pasta e cavoli, maccheroni e melanzane, pasta e purea di fave, spaghetti e cicoria.

CALABRIA

Costante della gastronomia dell’Italia meridionale è una tavola, certo non raffinata o ricca d’ingredienti. Questo vale anche per la Calabria, regione aspra, caratterizzata da un’atavica povertà, lontana dai grossi centri culturali e vessata per secoli da un’economia di tipo feudale che l’ha impoverita di risorse. Protesa al centro del Mediterraneo, lambita da due mari, la Calabria nelle sue coltivazioni ha raccolto e metabolizzato influenze dell’Est come dell’Ovest: alcune coltivazioni furono trapiantate sul suolo di quella che si chiamava Enotria dai coloni greci, fondatori di una civiltà di cui si sente ancora l’orgoglio. La tavola che caratterizza la regione è robusta, fatta di sapori intensi, di piatti antichissimi e di aromi violenti. Le verdure sono, da sempre, protagoniste e, insieme alla pasta e a tutti i derivati del maiale, costituiscono la base della cucina locale. Regina delle verdure è la melanzana, visto che il terreno calabrese, povero di acque, di natura silicea e scarsissimo di calcio, è adatto a questa solanacea, perché consente la maturazione di un complesso di sostanze aromatiche che danno alla polpa un sapore ottimo. Nella regione si conoscono un’infinità di modi di cucinare le melanzane: in agrodolce, in scapece, ripiene, fritte con pomodori e uova, ecc., talvolta arrivano in tavola irriconoscibili. Altre verdure onnipresenti sono i pomodori, i peperoni e le cipolle dalla caratteristica buccia rosso-violacea, di polpa dolce e carnosa, dai bei colori vividi, sono ornamento della tavola nelle più svariate preparazioni. A questi ingredienti si aggiunge, sulla costa, il pesce. La pesca ha una più lunga tradizione sullo Stretto e a Reggio, dove si cattura fra l’altro il pesce spada.

SICILIA 

Parlare di cucina siciliana significa intraprendere un viaggio nella storia dell’isola, attraverso le diverse civiltà che si sono avvicendate nella dominazione della Sicilia e che hanno lasciato, anche dal punto di vista gastronomico, una forte eredità. Troviamo, dunque, influenze della civiltà greca soprattutto per la cottura alla griglia, l’uso dell’origano, dell’aglio e delle olive. Molto più forte è stata l’influenza degli arabi. Sotto la dominazione araba, la Sicilia visse un periodo di grande sviluppo anche nella cultura culinaria. Il commercio marittimo e l’agricoltura introdussero nuove coltivazioni come la canna da zucchero, il riso, gli agrumi e la frutta secca. La Sicilia è la terra dell’olio, che si usa per cucinare e per condire, delle erbe aromatiche e della frutta secca. Un posto di rilevo occupa la cosiddetta gastronomia da strada: la tradizione è ricca di preparazioni veloci, poco costose ed in vendita in bancarelle o chioschi che di solito si trovano accanto ai grandi mercati dove si possono gustare pane e panelle, pane con la milza e gli arancini. Fondamentali nella cucina siciliana sono la pasta, i legumi (fave, lenticchie, farro, ceci) e le verdure. In provincia di Trapani è molto diffuso il cuscus, preparato con la semola di grano duro. Celeberrima è la caponata di verdure, composta da diversi ortaggi soffritti, fra i quali fa spicco la melanzana, in olio e poi conditi con aceto ed arricchiti con olive, capperi e acciughe. Tra i piatti a base di pesce ricordiamo il pescespada, e le sarde a beccafico. Per i piatti a base di carne, molto gustoso è il falsomagro, un vitello magro ricoperto da uova sode affettate, formaggio, salsiccia sbriciolata e prosciutto.

SARDEGNA

Il nostro viaggio attraverso la cucina mediterranea italiana termina in Sardegna, una terra che è rimasta per lunghissimi secoli chiusa nella sua civiltà antica. Prima del boom del turismo, l’agricoltura e la pastorizia sono stati i fondamenti dell’economia sarda. La cucina sarda, si basa, su ingredienti molto semplici derivati dalla tradizione pastorale e contadina e dalla tradizione marinara lungo le coste. Gli spagnoli e i genovesi, che dominarono in periodi diversi la Sardegna, lasciarono anche nella cucina la loro impronta; la cassola, specialità della zona di Cagliari, è una zuppa di pesce di derivazione spagnola. Molto interessante è l’uso della bottarga: delle uova di tonno o di muggine, salate e fatte seccare sotto la pressione di pesi destinati a disidratarle. Si mangia a fette sottili con pomodori in insalata oppure, con l’olio, come condimento della pasta. La cucina di terra offre al viaggiatore delle fantastiche carni arrostite, il pane, i latticini, il miele, i salumi, le verdure. E’ una cucina aromatizzata da erbe e legna odorosa, fatta di sapori decisi. Famosi sono i prosciutti di cinghiale e le salsicce di Irgoli.

CONTAMINAZIONE MODERNA

In definitiva la cucina mediterranea italiana quella per cui negli anni 50 l’Italia divenne l’emblema della buona salute, ha subito tutte le contaminazione sia storiche che culturali moderne arrivate dalla tv e dal web. Solo in alcuni posti, quelli più vicino al mare, quelli più poveri e quelli meno contaminati, conservano tutte le peculiarità del buon mangiare italiano. Oggi per stare meglio, si dovrebbe quindi semplicemente ritornare alle origini, cioè mettere in pratica le fondamentali regole per cui la dieta mediterranea è nata.

In definitiva, ad un uomo adulto occorrerebbero ogni giorno circa 2500 calorie di cui il 60% dovrebbe provenire da carboidrati, il 25% da lipidi e solo il 15% da proteine.

Quindi :

  • Maggiore consumo di proteine vegetali rispetto a quelle animali (più legumi e meno carne rossa);
  • Riduzione dei grassi saturi a favore di quelli vegetali insaturi (meno formaggi, burro e più olio di oliva, mandorle e noci);
  • Riduzione della quota calorica globale;
  • Aumento dei carboidrati complessi integrali e con basso indice glicemico (cioè i carboidrati che non fanno salire molto la glicemia e quindi l’insulina, quest’ultima responsabile di patologie e dell’ingrassamento) a sfavore di quelli semplici (molto iperglicemizzanti e dannosi per l’organismo);
  • Elevata introduzione di fibra alimentare;
  • Riduzione del colesterolo;
  • Il consumo di carne bianca è prevalente rispetto a quella rossa, ed è comunque limitato a una o due volte la settimana.

Come si può ben vedere, la dieta mediterranea prevede quindi una drastica riduzione del consumo di: insaccati, super alcolici, zucchero bianco, burro, formaggi grassi, maionese, sale bianco, margarina, carne bovina e suina (specie i tagli grassi), bibite come coca cola ecc., strutto e caffè (cioè di tutti quei cibi di cui oggi sono pieni le nostre dispense e le nostre pubblicità).

VADEMECUM DELL’ALIMENTAZIONE MEDITERRANEA

  • Bevi ogni giorno acqua in abbondanza;
  • Fai sempre una sana prima colazione ed evita di saltare i pasti;
  • Consuma almeno 2 porzioni di frutta e 2 porzioni di verdura ogni giorno;
  • In una Dieta equilibrata i cereali integrali (pane, pasta, riso ecc.) devono essere consumati quotidianamente;
  • Mangia pesce almeno 2 volte alla settimana (fresco o surgelato);
  • Ricordati che i legumi forniscono proteine di buona qualità e fibre;
  • Limita il consumo di grassi, soprattutto quelli di origine animale, privilegiando l’olio extravergine di oliva;
  • Non eccedere nel consumo di sale;
  • Limita il consumo di dolci e di bevande caloriche nel corso della giornata.

E…… vivi cent’anni!

L’olio d’oliva è indubbiamente importante, tuttavia l’alimentazione mediterranea offre una sorprendente varietà di abitudini salva-cuore. Purtroppo, anche in Italia, la dieta tende ad appiattirsi su modelli prettamente occidentali, avvicinandosi progressivamente a quella seguita dagli americani”. – Jean Carper

01Ago

TRIGLICERIDI ALTI E IPERTRIGLICERIDEMIA

Per abbassare i trigliceridi bisogna cambiare lo stile alimentare non lo stile di vita, perché non siamo debilitati o malati. Preveniamo!” – Dott. Nicola Villano

COSA SONO I TRIGLICERIDI?

Il trigliceride è una molecola chimica composta da uno zucchero e da tre acidi grassi, e svolge nel nostro organismo funzioni di riserva energetica ma si trova anche circolante nel sangue. I trigliceridi vengono formati dai grassi alimentari che noi assumiamo con la dieta e vanno così a costituire le nostre riserve energetiche, da cui il nostro organismo può attingere ogni volta che ne necessita. Per quanto riguarda invece i trigliceridi che si trovano liberi nel sangue, la quantità massima considerata nella norma è meno di 200 milligrammi per decilitro di sangue, ma è bene tenere i propri trigliceridi al di sotto dei 150 milligrammi per decilitro di sangue per ritenersi completamente fuori da tale rischio. Un alto tasso di trigliceridi è forse uno tra i fattori di rischio più importanti per ictus e malattie cardiache, infatti, uno studio recente ha dimostrato che se anche un individuo ha il colesterolo basso, avere i trigliceridi alti gli da due probabilità su tre di avere ictus o malattie cardiovascolari. Inoltre i trigliceridi possono essere indicativi per diagnosticare il diabete o una forte sensibilità ai carboidrati semplici.

IPERTRIGLICERIDEMIA

Si parla di Ipertrigliceridemia tutte le volte che le analisi ematiche evidenziano valori di trigliceridi alti, cioè superiori ai 200 mg/dL. I Trigliceridi alti sono un marker tipico della cosiddetta sindrome metabolica, una condizione clinica in cui la contemporanea presenza di almeno tre dei seguenti fattori di rischio (ipertensione, Ipertrigliceridemia, ipercolesterolemia, obesità addominale, iperglicemia a digiuno) aumenta significativamente le probabilità di subire un incidente cardiovascolare.

L’ipertrigliceridemia è comunemente associata a fattori quali un eccessivo consumo di alcol, uso di estro-progestinici (inclusa la pillola anticoncezionale), diabete scompensato ed ipotiroidismo. Anche gli eccessi calorici, in particolare se dovuti alla massiccia ingestione di zuccheri semplici, aumentano i valori ematici di trigliceridi; ricordiamo infatti che gli zuccheri – al contrario dei lipidi – non hanno un sistema di immagazzinamento efficace. Per questo motivo, quando sono assunti in eccesso, vengono trasformati in trigliceridi nel fegato. Se i valori di trigliceridi diventano particolarmente alti (> 1000 mg/dl) vi è un rischio elevato di crisi dolorose addominali, pancreatiti acute e xantoma (degenerazione della pelle, che assume un colore giallastro per l’accumulo di lipidi); tra le cause di origine, in questi casi, rientrano necessariamente fattori genetici (ipertrigliceridemia familiare, iperlipidemia combinata familiare, disbetalipoproteinemia familiare o ipertrigliceridemia familiare).

SE I TRIGLICERIDI SONO ALTI È MOLTO IMPORTANTE:

  • correggere sovrappeso e obesità.
  • Ridurre, meglio evitare, l’alcol.
  • Ridurre il consumo gli zuccheri semplici (dolci, frutta disidrata e frutta zuccherina, come fichi, banane, uva, mandarini e cachi).
  • Limitare l’apporto calorico, evitando le abbuffate.
  • Consumare pesce almeno 2-3 volte a settimana; in altrettante occasioni sostituire la carne con i legumi.
  • Limitare il consumo di cibi ricchi di grassi saturi (contenuti soprattutto nei latticini e nella carne grassa), sostituendoli con quelli ricchi di acidi grassi monoinsaturi ed in particolare di acido oleico (olio di oliva, frutta secca ed oli vegetali in genere).
  • Ridurre, meglio evitare, i grassi idrogenati (contenuti nella margarina ed in molte pastine, snack e prodotti da forno confezionati).
  • Mantenere elevato il consumo di alimenti ricchi di antiossidanti.
  • Se nonostante l’adozione di queste norme comportamentali, le analisi ematiche continuano a mostrare valori di trigliceridi alti, il medico può intervenire prescrivendo medicinali specifici.

ALIMENTI CONSIGLIATI E VIETATI PER ABBASSARE I TRIGLICERIDI:

  • Diminuire l’apporto di zuccheri: caramelle, biscotti, crostate, dolci, gelati, succhi di frutta, questo perché lo zucchero è uno dei principali fattori che fanno incrementare il tasso di trigliceridi nel sangue, quindi bisogna diminuire la quantità di cibi ad alto indice glicemico (cioè ad alto contenuto di zuccheri);
  • Diminuire o eliminare del tutto l’alcool: l’alcool è un alimento che non apporta nessun nutriente al nostro organismo sebbene invece apporti una notevole quantità di energia proprio perché è costituito quasi esclusivamente di zuccheri, che come abbiamo detto sono da diminuire, quindi anche solo una piccola quantità di alcool può far salire i trigliceridi senza distinzione tra vino, birra o altri tipi di alcool;
  • Diminuire l’apporto di carboidrati raffinati, poiché questo tipo di carboidrati contengono un’elevata quantità di zuccheri semplici. Tuttavia non è salutare seguire diete a basso contenuto di carboidrati, poiché questi sono la principale fonte di energia per il nostro corpo, per cui è opportuno sostituire quelli a più alto indice glicemico con quelli a più basso, cioè sostituire la pasta e il pane fatti dalla farina bianca con la pasta di grano intero, utilizzare riso e altri cereali come la quinoa, l’orzo, l’avena e il miglio; e inoltre è molto importante diminuire lentamente le quantità di carboidrati nella dieta;
  • Sostituire la frittura con la cottura al forno;
  • Seguire una dieta a basso contenuto di grassi saturi, preferendo olio d’oliva, olio di noci, olio di semi di lino, crusca di riso anziché utilizzare burro, strutto, panna, margarina;
  • Evitare carni altamente grasse, hot dog, snack, pelle di pollame e salse da condimento;
  • Evitare tutti gli alimenti che contengono oli vegetali idrogenati o acidi grassi idrogenati;
  • Aumentare l’apporto di cibi ricchi di fibre, ad esempio fagioli, cereali integrali, semi di zucca, crusca di riso, crusca d’avena, è però opportuno aumentare l’apporto di fibra alimentare lentamente per prevenire qualsiasi disturbo intestinale;
  • Se si fuma o si beve, è meglio smettere;
  • Ridurre la calorie assunte con i grassi fino al venti per cento del fabbisogno giornaliero;
  • Mangiare più verdure;
  • Scegliere cibi ad alto contenuto di proteine, sostituendo però la carne rossa con fonti di proteine a basso contenuto di grassi, come la carne bianca e le proteine vegetali come i piselli, i prodotti di soia e i fagioli secchi; • Bere molta acqua per aiutare il sistema digerente a smaltire le fibre e le proteine;
  • Mangiare carni di pesce almeno tre volte alla settimana, in quanto nei pesci come il salmone, le trote, il tonno, gli sgombri, le sardine, sono state trovate notevoli quantità di omega3, che delle molecole importantissime per diminuire i trigliceridi in eccesso; inoltre gli omega tre sono contenuti anche negli oli di pesce ed è stato dimostrato che essi hanno una notevole influenza positiva su altri parametri del nostro organismo, come per esempio aiutano a ridurre in modo naturale il battito cardiaco irregolare, la coagulazione del sangue, l’indurimento delle arterie, il colesterolo e la pressione sanguigna;
  • Praticare esercizio fisico, in quanto questo aiuta a bruciare i trigliceridi liberi nel sangue, essendo questi fonte di energia, e aumenta il colesterolo buono.

CONSIDERAZIONI SUGLI ALIMENTI PER ABBASSARE I TRIGLICERIDI 

Questi consigli sembrano troppi per essere ricordati tutti, ma in realtà seguire una dieta specifica per abbassare i trigliceridi è molto semplice, non costa e migliora notevolmente il nostro stato di salute, basta capire che mangiando i cibi giusti non è poi così impossibile tenere a bada i trigliceridi, e poi è molto importante non commettere quel grave errore di seguire delle diete povere di nutrienti, perché nessuna dieta può essere definita salutare se essa comprende fame e privazione di cibo, e non c’è bisogno di escludere nessun gruppo di cibi: al nostro corpo servono i carboidrati, le proteine, gli zuccheri, le vitamine, tutto, purché non in quantità eccessive, ecco perché non possiamo eliminare niente di ciò che mangiamo, ma possiamo sostituirli con altri alimenti dello stesso gruppo alimentare, che però hanno un basso contenuto di zuccheri e grassi. Ed anche se dovessimo trovarci ad una cena, in un ristorante, ad una cerimonia, non per forza dobbiamo privarci di tutto ciò che è condito con oli o salse, possiamo ad esempio chiedere che i condimenti ci siano messi al lato e tutto è risolto!

01Ago

GONFIORE ADDOMINALE

Siamo gonfi non siamo grassi”. – Nicola Sorrentino

CAUSE DELLA PANCIA GONFIA 

 

Una vera e propria patologia che consiste essenzialmente nell’assorbimento inappropriato di aria assieme ai cibi e alle bevande ingerite (aerofagia), e soprattutto nelle fermentazioni intestinali degli zuccheri o nella putrefazione-fermentazione intestinale delle proteine e degli zuccheri (meteorismo).

COSA E’ IL METEORISMO

Può capitare che in alcuni momenti della giornata, specie dopo pranzo, si avverta una certa tensione dovuta alla presenza di gas nell’addome. In questi casi più che di pancia gonfia si preferisce parlare di meteorismo, ovvero di un eccesso di gas intestinale che causa spasmo e distensione dell’addome. Questo gonfiore può variare durante la giornata ed è molto sensibile al tipo e alla quantità di alimenti assunti con la dieta.

Nel nostro intestino, in condizioni normali, sono presenti circa 100-150 ml di aria con variazioni individuali da 30 a 200 ml. I gas più comuni sono l’azoto, l’ossigeno, l’idrogeno, il monossido di carbonio ed il metano. Diversi processi intervengono nel regolare la quantità di aria presente nell’apparato digerente. Le pareti intestinali hanno, per esempio, la capacità di riassorbire l’aria prodotta che viene poi immessa nel sangue ed eliminata con la respirazione. Eruttazione e flatulenza vengono in soccorso quando c’è un’eccessiva produzione di gas e l’intestino non riesce a smaltirla da solo.

LE CATTIVE ABITUDINI CHE PORTANO AL METEORISMO

  • Eccessiva deglutizione di aria, generalmente seguita da eruttazioni rumorose. Questo può avere anche una base patologica (reflusso gastroesofageo, ernia iatale, angina pectoris, dispepsia, ulcera peptica) oltre che comportamentale (fumo e cattive abitudini dietetiche, come l’ingestione affrettata di alimenti o bevande, soprattutto gassate).
  • Bere durante i pasti, usanza diffusissima ma sbagliata. Anche le bevande innocenti come l’acqua naturale diluiscono ed inattivano i succhi gastrici, prolungando e compromettendo la digestione.
  • Le bevande gassate e dolcificate provocano aerofagia per la presenza di gas e zucchero.
  • Le bevande alcoliche e le bevande nervine, oltre che causare vari danni collaterali, spingono i cibi verso il colon, impedendo la corretta assimilazione nella parte alta dell’intestino tenue.
  • Alimentarsi in situazioni di inappetenza, di fretta, di tensione, di nervosismo.
  • Mangiare molti latticini che intasano di colla caseinica i villi intestinali.
  • Mangiare patate fritte, cipolle fritte ma anche merendine, dolciumi e stuzzichini vari che peggiorano molto la fermentazione e quindi la produzione di aria.

METEORISMO E CONTAMINAZIONE BATTERICA DELL’INTESTINO TENUE

Per tutte queste cattive abitudini alimentari, i microrganismi che popolano in genere il COLON possono aumentare andando a contaminare l’intestino TENUE dove accelerano i fenomeni putrefattivi e fermentativi. I risultati di questi processi sono il gonfiore addominale e la comparsa di disturbi dell’alvo (diarrea alternata a stitichezza).

La costipazione e la stitichezza, sono la matrice di tutte le maggiori malattie umane, ed anche a situazioni di disbiosi intestinale, dove le colonie batteriche simbiotiche, aerobiche e amiche, tendono a trasformarsi in colonie disbiotiche, anaerobiche e nemiche, caratterizzate da prevalenza di batteri putrefattivi, capaci di sopravvivere anche in assenza di ossigeno, come i Bacteroidi, i Pepto-streptococchi, l’Helicobacter pylori che, risalendo fino allo stomaco, è causa di gastrite e di ulcera gastrica.

CONSIGLI UTILI

  • Masticare lentamente, ed evitare di parlare troppo durante i pasti per non ingerire aria;
  • Evitare il consumo di bevande gassate e zuccherate;
  • Bere almeno 1,5 litri di acqua al giorno, anche sotto forma di tisane o altri liquidi;
  • Preferire pasti piccoli, frequenti e leggeri;
  • Aumentare gradualmente il contenuto in fibra alimentare, compatibilmente alla suscettibilità individuale.

ALIMENTI CONTROINDICATI IN CASO DI GONFIORE INTESTINALE

  • LEGUMI (fagioli, piselli, fave, lenticchie, ceci) da consumare, passati, non più di 2 volte per settimana e da evitare in caso di gonfiore già presente;
  • VERDURE (cipolla, cavolo, funghi, cavolfiore, broccoli, cavoli di Bruxelles, verza, rapa al massimo 2 volte alla settimana e non in associazione ai legumi;
  • FRUTTA zuccherina (uva, fichi, banana, cachi). Comunque non consumare più di 2 frutti al giorno, compatibilmente alla tolleranza individuale. Comunque la frutta andrebbe mangiata sempre a stomaco vuoto. Angurie e meloni, poi, non solo a stomaco vuoto, ma senza alcuna mescolazione nemmeno con altri frutti e nemmeno nelle eventuali macedonie, a causa della loro rapida fermentabilità. La frutta dopo mangiato, essendo digerita nell’intestino, permane per troppo tempo nello stomaco, mentre questo sta digerendo le proteine e quindi si trasforma in bolo fermentato, cioè alcolico e non assorbibile attraverso la vena porta, che conduce al fegato e continua quindi a fermentare nell’intestino, alterando la flora batterica;
  • DOLCIFICANTI ARTIFICIALI: SORBITOLO e MANNITOLO, presenti anche in caramelle o chewing-gum senza zucchero, da limitare, come anche lo ZUCCHERO. Evitare il consumo di alimenti ricchi in grassi (fritti, insaccati, formaggi, carni grasse, maionese, panna montata, creme varie);
  • Sostituire il PANE ricco di mollica o poco cotto con crackers integrali o pane tostato.

CIBI CON FLATULOGENICO FORTE (da evitare nelle Colonpatie)

  • LATTE E DERIVATI
  • VERDURE: cipolle, fagioli, sedano, carote, cavoletti di Bruxelles
  • FRUTTA: uva passa, banane, albicocche e succo di prugna
  • CIBI TROPPO CALDI O TROPPO FREDDI (ANCHE GELATI E GRANITE)
  • GOMME DA MASTICARE
  • BEVANDE GASSATE, THE E CAFFE’, ALCOLICI
  • AVENA, FARRO, MAIS, ORZO E SEMOLA
  • LEGUMI
  • FRITTURE
  • SPEZIE, PEPE E PEPERONCINO
  • DOLCI E ALIMENTI RICCHI DI GRASSI ANIMALI COME PANNA, BURRO, LATTE E YOGURT INTERI, LARDO E STRUTTO
  • CIBI IN SCATOLA E AFFUMICATI
  • BANANE, KIWI, UVA, CASTAGNE E FRUTTA SECCA
  • SALUMI
  • SALSE (CONSERVE), SENAPE, MOSTARDA
  • BRODO DI CARNE, ESTRATTI DI CARNE, CARNI AFFUMICATE
  • ACCIUGHE, SARDINE, BACCALA’
  • VERDURA CRUDA, CAVOLI, ASPARAGI, FUNGHI, POMODORI E PEPERONI
03Lug

DIGIUNO INTERMITTENTE

Il digiuno e la dieta naturale, sebbene sostanzialmente sconosciuti come terapia, dovrebbero essere il primo trattamento quando si scopre di avere un problema medico.” – Joel Fuhrman

COME FUNZIONA IL DIGIUNO INTERMITTENTE

Il digiuno è diventato molto popolare negli ultimi anni, ma le pratiche che prevedono l’astinenza dal cibo si trovano in ogni cultura fin da tempi molto antichi. I benefici del digiuno sono noti da decenni e sono stati riassunti da Rafael de Cabo (laboratorio di gerontologia traslazionale del National Institute of Aging di Baltimora) e da Mark Mattson (dipartimento di neuroscienze della Johns Hopkins University) nella revisione pubblicata su una delle più importanti riviste mediche al mondo.

Alimentarsi in maniera intermittente è una scelta che può far parte di uno stile di vita sano“, ha affermato lo stesso Mattson, seguace della dieta del digiuno intermittente da vent’anni. Le evidenze più solide riguardano la preservazione di un corretto stato di salute delle cellule, a livello di tutti gli organi. Il processo è reso possibile dall’esaurimento delle riserve di glucosio e dal ricorso al grasso, come fonte energetica. In questo modo, secondo Mattson, “Migliora la regolazione della glicemia, si riduce la risposta infiammatoria e aumenta la resistenza allo stress.

Dal compendio, sulla base di quattro studi condotti sia su modelli animali sia sull’uomo, si evince che “il digiuno intermittente ha anche ridotto la pressione sanguigna, i livelli di lipidi nel sangue e la frequenza cardiaca a riposo“. Sono inoltre presenti in letteratura le evidenze che documentano un impatto sull’obesità e sul rischio di ammalarsi di diabete.

Digiunando si attivano le cosiddette molecole heat shock, molecole che fanno in modo che le strutture proteiche del corpo abbiano la forma giusta e funzionino nell’organismo in modo ottimale. Brevi periodi di digiuno fanno moltiplicare le molecole heat shock e di conseguenza i muscoli e gli organi si mantengono in forma. Su questo si basa anche il principio del mima digiuno di Walter Longo.

È una specie di “vacanza per gli organi”: anche solo una volta a settimana è sufficiente ad evitare che fegato, reni e intestino si sovraccarichino e si da loro la possibilità di rigenerarsi. Inoltre l’organismo sfrutta queste ore di pausa per eliminare le sostanze dannose.

Altri benefici:

  • concilia il sonno;
  • rafforza il sistema immunitario;
  • non appesantisce il metabolismo;
  • stimola il consumo di grassi.
LE REGOLE
  • Durata digiuno

Il digiuno di solidi si estende per 12/18 ore, durante le quali sono consentite solo tisane leggere. È importante però assumere nel corso della giornata sostanze nutrienti.

  • Per quanto tempo rinunciare alla cena

Dipende dagli obiettivi che ci siamo prefissati. Il metodo standard prevede dalle due alle quattro volte a settimana: può essere effettuato a cicli di alcuni mesi, o anche per tutto l’anno. Si può effettuare anche per tutto l’anno due digiuni serali, per esempio il lunedì o il giovedì (a volta basta anche solo il lunedì).

Esiste una variante che consiste in 14 giorni di digiuno consecutivi, indicata per chi è molto in sovrappeso: 14 giorni di digiuno serale moderato, al termine del quale va seguito però il metodo standard (due sere a settimana). In due settimane si perdono 5-6 chili.

  • La regola più importante

Per raggiungere buoni risultati con la strategia del digiuno serale occorre bere molto, soprattutto dopo le 17, ma anche durante l’intero arco della giornata. Nei giorni in cui si pratica il digiuno serale si può arrivare fino a 3 litri di liquidi al giorno. L’acqua è la bevanda più indicata. Attenzione, solo a temperatura ambiente, mai troppo fredda.

  • Mai stare fermi

Niente aiuta a dimagrire, a disintossicarsi e a ringiovanire l’organismo quanto il movimento. Basta fare una passeggiata ogni giorno o almeno 4 volte la settimana di almeno 20 minuti. Praticare ogni giorno una leggera attività fisica cercando di essere il più possibile costanti, dà buoni risultati.

Esempi di alimentazione:


1) PRIMA SOLUZIONE

(digiuno serale, colazione leggera, pranzo e spuntino pomeridiano proteico alle 18)

COLAZIONE:

  • tè verde o tisana o caffè a cui si può aggiungere del latte di mandorla senza zucchero.

PRANZO:

  • una scelta tra 200 g di carne bianca o rossa + 300 g di verdura a foglie (spinaci biete, scarole, cicoria o cavolo nero) o funghi o asparagi o cavolfiore o melanzane o zucca o zucchine con olio Evo.

Oppure:

  • 250 g di pesce magro (merluzzo, platessa, nasello, rombo) + 300 g di verdure + olio extravergine di oliva.

SPUNTINO:

  • ore 18:00: due uova intere + 100 g di albumi + 300 g di verdure + olio extravergine di oliva.

CENA DIGIUNO:

  • solo tisana o infuso.

Oppure:

  • brodo vegetale preparato con cipolla, sedano, una carota, bieta, due pomodori, una zucchina, maggiorana, prezzemolo e timo senza sale e bere solo il liquido chiaro filtrandolo.

2) SECONDA SOLUZIONE

(colazione e pranzo abbondanti, digiuno serale, no spuntini)

COLAZIONE:

  • tè verde o tisana o caffè macchiato con latte di mandorla senza zucchero + in aggiunta un uovo + 20 g di noci + 1 kiwi.

Oppure:

  • 100 g di albumi + 12 mandorle + una mela o una pera.

Oppure:

  • pancake preparati con 80 gr di albumi, 40 g di farina di avena + 2 cucchiai di frutti di bosco.

Oppure:

  • yogurt greco bianco magro + 3 cucchiai di frutti di bosco + 3 noci + 1 cucchiaio di cocco essiccato.

Oppure:

  • due uova cotte con 10 g di burro + 300 g di funghi + mezza mela.

Oppure:

  • 100 g di pera + 70 g di ricotta + 2 noci intere.

PRANZO:

  • Una scelta tra 200 g di carne + verdura (300 g di sole verdure a foglia o zucchine) + olio extravergine di oliva + 1 mela.

Oppure:

  • 70 g di fagioli neri o borlotti o 60 g di lenticchie o ceci o 300 di piselli freschi surgelati + insalata di finocchi, rucola e valeriana + olio extravergine di oliva.

Oppure:

  • 250 g di pesce magro (merluzzo, sogliola, platessa, nasello, rombo, scampi, seppie, cernia o 150 g di pesce semi magro come calamari, pesce spada, riccio, tonno, orata, polpo o tonno o cefalo) o 100 g di pesce grasso (salmone, sgombro, sardine) + 300 g di verdura e olio extravergine di oliva + 1 kiwi.

CENA DIGIUNO:

  • solo tisana o infuso.

Oppure:

  • brodo vegetale preparato con cipolla, sedano, una carota, bietole, due pomodorini, una zucchina, maggiorana, prezzemolo e timo senza salse e bere soltanto il liquido chiaro filtrandolo.


3) TERZA SOLUZIONE

(no colazione, solo pranzo e cena, no spuntini – solo tisane)

PRANZO:

  • Una scelta tra 2 uova + verdura (300 g di solo verdure a foglia o zucchine) + olio extravergine di oliva + 1 mela.

Oppure:

  • 70 g di fagioli neri o borlotti o 60 g di lenticchie o ceci o 300 di piselli freschi surgelati + insalata di finocchi, rucola e valeriana + olio extravergine di oliva.

Oppure:

  • 250 g di pesce magro (merluzzo, sogliola, platessa, nasello, rombo, scambi, seppie, cernia o 150 g di pesce semi magro calamari, pesce spada, riccio, tonno, orata, polpo o tonno o cefalo) o 100 g di pesce grasso salmone sgombro sardine + 300 g di verdura e olio extravergine di oliva + 1 kiwi.

CENA:

  • carne bio (manzo, pollo, maiale, tacchino), preferibilmente di animali allevati a pascolo. Per esempio straccetti di tacchino cotti con rucola, pollo con zucchine, pollo alla cacciatora con verdura, polpette di tacchino fatto con carne tagliata a dadini al coltello con aggiunta di zucchine cotte grattugiate, prezzemolo, scorza di limone, sale, pepe e 1 uovo.

Consigli extra:

Aggiungere a piacere: verdura, ortaggi misti o verdura ripassata con aglio, olio e peperoncino o verdure crude a piacere, per esempio insalata arcobaleno a base di carote, finocchi, rucola, radicchio, ravanelli, verza, anche con semi di canapa e noci.

Durante i giorni di digiuno intermittente cercare di bere due bicchieri di acqua calda (bollita per qualche minuto conservata in thermos) ogni 2 o 3 ore, oltre a tisane e tè verde a piacere.

Bere qualcosa di caldo è fondamentale per tamponare la contrazione muscolare che si sviluppa a livello dello stomaco ogni tre o quattro ore quando è vuoto e procura i cosiddetti morsi della fame. In verità, più che la fame, segnala che lo stomaco è vuoto e spesso passa semplicemente bevendo qualcosa di caldo.

Aggiungere alle pietanze erbe aromatiche e spezie che contribuiscono non solo a dare sapore ai piatti ma anche ad attivare le risposte riparative del digiuno.

Il digiuno è la più grande terapia di guarigione naturale. È l’antico “rimedio” universale della natura per innumerevoli disturbi”. – Elson Haas, MD

02Lug

DIETA “FODMAP” E COLON IRRITABILE

L’intestino è un organo pieno di sensibilità, responsabilità e volontà di rendersi utile. Se lo trattiamo bene, lui ci ringrazia”. – Giulia Enders, L’intestino felice

DIETA FODMAP E COLON IRRITABILE

La dieta FODMAD è un regime alimentare povero di sostanze che fermentano ed è spesso consigliato per trattare i disturbi della sindrome del colon irritabile.

FODMAP è l’acronimo di “Fermentable Oligo-saccharides, Disaccharides, Mono-saccharides and Polyols” (oligosaccaridi, disaccaridi, monosaccaridi e polioli fermentabili), serie di carboidrati a catena corta: saccaridi.

I saccaridi includono: fruttosio, lattosio, fruttano e galattano.

I polialcoli sono: sorbitolo, mannitolo, xilitolo e maltitolo.

Tali carboidrati, contenuti in molti alimenti, possono essere poco assorbiti dal piccolo intestino e rapidamente fermentati dai batteri intestinali nell’ileo e nel colon prossimale. I sintomi sono dovuti alla distensione dell’intestino sia attraverso un alto volume di liquidi trattenuti dovuto al processo di osmosi, sia ad un aumento della produzione dei gas. Tale processo è responsabile della seguente sintomatologia:

  • Dolore addominale
  • Aumento del gas intestinale
  • Meteorismo
  • Distensione addominale
  • Alterata disfunzione della motilità addominale che si manifesta con diarrea e stipsi

Gli alimenti FODMAP sono in sostanza i cibi che fermentano, alimenti ricchi di zuccheri che, una volta digeriti, restano nell’intestino richiamando acqua (hanno proprietà osmotica). La loro sovra-fermentazione è ciò che causa i disturbi.


COME FUNZIONA LA DIETA FODMAP

La dieta FODMAP possiede tre fasi:

  • fase di eliminazione, durante la quale viene ridotto al minimo il consumo di alimenti contenenti FODMAP. Questa fase può avere una durata di 3-6 settimane e permette di valutare se i sintomi che il paziente lamenta regrediscano o meno grazie a un consumo minimo di queste sostanze;
  • fase di reinserimento, durante la quale gli alimenti esclusi vengono reintrodotti in maniera graduale, in modo da individuare quali siano le quantità e la frequenza di consumo che possono determinare fastidi. Si tratta di una parte molto delicata ma necessaria per evitare esclusioni ingiustificate;
  • fase di mantenimento, a seconda dei risultati avuti nella fase precedente si preparerà una dieta variata e ricca, per quanto possibile, facendo sempre attenzione alle quantità e alla frequenza con cui certi alimenti, individuati durante la reintroduzione, vengono consumati.


QUALI SONO I CARBOIDRATI DELLA FODMAP-DIET?

Oligosaccaridi (fruttani e galattani), Disaccaridi (Lattosio), Monosaccaridi (fruttosio) e Polioli o polialcoli (come sorbitolo, mannitolo, xilitolo e maltitolo).

Per migliorare i sintomi di gonfiore funzionale e intestino irritabile, la FODMAP-Diet prevede l’esclusione di tutti questi zuccheri contemporaneamente: solo così si avrà un miglioramento dei disturbi intestinali. Ogni individuo riesce a tollerare un quantitativo complessivo differente di questi zuccheri: non esiste una indicazione dietetica standard valida per tutti.

FRUTTANI

Si tratta di brevi catene di molecole di fruttosio con una molecola di glucosio ad un’estremità. Non possono essere digeriti e sono tra i principali responsabili dei problemi indicati, vista la loro presenza rilevante nei cereali, in alcuni vegetali e in diversi prodotti dietetici.

Contenuto elevato di fruttani:

  • Frutta: pesche, cachi, cocomero, mele, pere, fichi, ciliegie.
  • Verdure: carciofi, aglio, cipolla, porro, scalogno, asparagi, piselli, fave.
  • Cereali: pane, pasta e derivati del frumento, specie se consumati in grandi quantità. Orzo e derivati, segale e derivati.
  • Legumi: lenticchie, ceci, fagioli.
  • Frutta secca oleosa: pistacchi, anacardi
  • Bevande: caffè di cicoria.
  • Fibre e supplementi: inulina, FOS (fruttoligosaccaridi) utilizzati in molti cibi commercializzati come i prebiotici.


GALATTO-OLIGOSACCARIDI

Sono molecole formate da più unità di galattosio legate a fruttosio e glucosio alle estremità. Le più diffuse sono raffinosio e stachiosio, anche queste non digerite nel nostro intestino e quindi potenziale causa di problemi, si trovano quasi esclusivamente nei legumi.

  • Legumi: fagioli, ceci, lenticchie.


LATTOSIO

Un disaccaride costituito da una molecola di glucosio legata ad una di galattosio, presente nel latte di TUTTI i mammiferi, non è digerito da alcuni soggetti che con la crescita perdono l’enzima lattasi, che ne permette la scissione. La riduzione del consumo di lattosio non significa ovviamente rinunciare a tutti i latticini, visto che in molti derivati, come i formaggi stagionati, il contenuto di lattosio è estremamente ridotto.

Contenuto elevato di lattosio:

  • Latticini: panna, gelati, dolci al latte, latte in polvere.
  • Latte: latte fresco di mucca, capra o pecora.
  • Yogurt: yogurt da latte di mucca, capra o pecora.
  • Formaggi: ricotta, mascarpone, fiocchi di latte e tutti i formaggi freschi.


FRUTTOSIO

Un monosaccaride molto abbondante nella frutta e nel miele. Nell’intestino è assorbito con il glucosio, quindi se presente in eccesso rispetto a questo può rimanere nel lume intestinale causando problemi. In questo caso è importante bilanciare il consumo di fruttosio e glucosio per impedire che si determini un ridotto assorbimento.

Contenuto elevato di fruttosio:

  • Frutta: mele, pere, fichi, ciliegie, cocomero.
  • Verdure: asparagi, carciofi, piselli, fave.
  • Dolcificanti: agave, sciroppo di glucosio-fruttosio (presente in molte bevande gassate), fruttosio, succhi di frutta e concentrati di frutta.


POLIOLI

Si tratta di zuccheri presenti in frutta e verdura, utilizzati anche nella produzione industriale di alimenti, come umettanti e soprattutto come dolcificanti artificiali in prodotti dietetici in virtù del ridottissimo apporto calorico. I polioli più diffusi sono sorbitolo (E420), mannitolo (E421), maltitolo (E965), isomalto (E953), lattitolo (E966), xilitolo (E967), eritrolo (E968) e sono ampiamente utilizzati nell’industria alimentare: leggete con attenzione le etichette per evitare di consumarli.

Contenuto elevato di polioli: 

  • Frutta: mele, pere, albicocche, pesche, susine, more, cocomero.
  • Verdure: cavoli, broccoli, cavoletti di Bruxelles, verza, funghi, taccole (piselli mangiatutto).
  • Dolcificanti e additivi: sorbitolo, mannitolo, maltitolo, isomalto, lattitolo, xilitolo, eritrolo.


COSA SI MANGIA NELLA DIETA FODMAP?

 La dieta a basso contenuto di FODMAP non è particolarmente restrittiva o complessa. Anzitutto, è bene eliminare più possibile gli alimenti ricchi di questi principi nutrizionali.

Alimenti ricchi di FODMAP:

  • Latte e derivati freschi;
  • Alcuni cereali, quali: frumento, orzo e segale, e loro derivati;
  • Certi frutti e verdure, quali: mele, carciofi, cavolfiore, aglio, cipolla, anguria;
  • Frutta disidratata;
  • Funghi;
  • Alcuni legumi, come i fagioli;
  • Certi semi oleosi, come: anacardi e pistacchi;
  • Dolcificanti di sintesi e cibi che li contengono, come le gomme da masticare;
  • Sciroppo di mais ad alto fruttosio;
  • Miele;
  • Gelato.


Più precisamente menzioniamo:

  • Fruttosio: contenuto in frutta (tipo mele, carciofi, cavolfiore, aglio, cipolla, anguria), miele, sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio, agave;
  • Lattosio: contenuto nel latte e derivati non completamente fermentati;
  • Fruttani: contenuti nell’aglio, nelle cipolle, nel frumento, nell’orzo, nella segale ecc.;
  • Galattani: contenuti nei legumi, come i fagioli, le lenticchie, la soia ecc.;
  • Polioli: contenuti nella frutta a seme, come le mele, l’avocado, le ciliegie, i fichi, le pesche, le prugne, ecc.


Alimenti poveri di FODMAP:

  • Sostituti vegetali del latte, come: latte di mandorle, latte di cocco, latte di riso e latte di soia;
  • Certi frutti e verdure, come: banane, peperoni, mirtilli, carote, cetrioli, uva, spinaci, cavoli, ortaggi a foglia verde, pomodori, mandarini;
  • Semi amidacei, anche non necessariamente cereali, come: avena, quinoa, riso;
  • Patate.

Dieta FODMAP, quali cibi evitare:

Ecco allora una lista di alimenti fermentabili generalmente “proibiti” per chi soffre di sindrome dell’intestino irritabile.

Tra la frutta da evitare, ci sono:

  • mango
  • anguria
  • susine
  • pesche
  • mele
  • pere
  • nashi (o pera-mela)
  • pistacchi
  • anacardi.
  • fichi
  • ciliegie


Tra le verdure bandite per chi soffre di colon irritabile troviamo:

  • asparagi
  • carciofi
  • cipolla
  • aglio
  • porri
  • barbabietola
  • cavolo verza
  • mais dolce
  • sedano.
  • piselli
  • lenticchie
  • fave


Eliminare anche latte e i suoi derivati (yogurt, formaggi a pasta molle, crema pasticciera e gelato).

E ancora NO a:

  • legumi
  • cereali come segale, grano e quindi pane, pasta e biscotti.
  • Dolcificanti: agave, sciroppo di glucosio-fruttosio (presente in molte bevande gassate), fruttosio,


Contenuto elevato di polioli da evitare:

  • Frutta con semi o noccioli: mele, pere, albicocche, pesche, susine, ciliegie, cocomero.
  • Verdure: cavoli, broccoli, cavoletti di bruxelles, verza, funghi, taccole (piselli mangiatutto).
  • Dolcificanti e additivi: sorbitolo, mannitolo, maltitolo, isomalto, lattitolo, xilitolo, eritrolo.


Cosa mangiare dunque?

Tra la frutta fresca, gli alimenti consentiti sono:

  • banana
  • arancia
  • mandarino
  • uva
  • melone bianco
  • Ok anche a mandorle (massimo 10 pezzi) e semi di zucca.


Tra le verdure vanno bene:

  • zucchine
  • lattuga
  • pomodoro
  • cetrioli
  • carote
  • erba cipollina
  • fagiolini.


Tra gli altri alimenti vanno bene:

  • carne
  • pesce
  • tofu
  • formaggi a pasta dura o i prodotti caseari senza lattosio.
  • avena riso, quinoa e prodotti senza glutine
  • pesce fresco (meglio se non allevato): Alici, Aragosta, Astice, Baccalà, Calamaro, Cefalo, Cernia, Coccio (gallinella), Dentice, Gamberi, Merluzzo, Orata, Pesce bandiera, Polpo, Ricciola, Salmone fresco, Sarde, Scorfano, Seppia, Sgombro, Sogliola, Spada, Spigola (branzino), Stoccafisso, Tonno, Triglia.*Evitare pesci di grossa taglia: potrebbero essere inquinati da cromo, arsenico e piombo.


ALIMENTI CHE SI POSSONO MANGIARE:

  • CARNI: manzo, coniglio, pollo biologico, tacchino, vitello, agnello, maiale, capretto (tutte senza la parte grassa);
  • PROTEINE VEGETALI: quorn, mopur, muscolo di grano, tofu di canapa, edamame, fagioli di soia, tofu, tempeh, azuki, falafel, alghe wakame-hijiki-arame, alghe nori.
  • ORTAGGI: carote, zucchine, lattuga, fagiolini, pomodori, zucca, agretti, indivia, radicchio, carote, finocchi, bietola, cicoria, scarola, spinaci, verza, centrioli, coste, crescione, erba cipollina, indivia, rape, spinaci, batate, germogli di soia, melanzane, peperoncini, sedano.
  • FRUTTA: limone, banane mature, frutto della passione, kiwi, lamponi, mirtilli, pompelmo, sorbetto di frutta, fragole, arance, melone, uva, mandarini.
  • LATTICINI: si dovrebbero preferire quelli senza lattosio o quasi privi, i formaggi stagionati, il kefir, ma vanno anche bene le bevande vegetali come il “latte” di riso o di avena. Ok per i prodotti delattosati. (eventualmente l’unico latticino consentito è la ricotta e il primosale)
  • CARBOIDRATI: mais, riso, avena, quinoa, pane senza glutine, pasta di mais, pasta senza glutine tra i più consigliati.

Lodiamo l’intelligenza del cervello e le emozioni del cuore, ma abbiamo dimenticato che è l’intestino a svolgere una delle funzioni più importanti nella nostra vita: dare ordine e buttare via ciò che non serve”. – Fabrizio Caramagna

02Lug

SISTEMA IMMUNITARIO

Nella storia del mondo nessun medico ha mai guarito nessuno da nulla, l’unica cosa che guarisce è il sistema immunitario”. – Bob Wright

COME FUNZIONA IL SISTEMA IMMUNITARIO

L’atto di formazione delle cellule immunitarie viene chiamato ematopoiesi. Tutte hanno origine da cellule staminali che si differenziano nelle cellule del sangue grazie alle citochine.

Le cellule si possono differenziare in due stirpi differenti: la linea mieloide e la linea linfoide.

  • Dalla linea mieloide (tutte originate dal midollo) si genereranno le piastrine, i globuli rossi e le cellule immunitarie del sistema innato (monociti, mastociti, cellule dendritiche, granulociti neutrofili, eccetto le natural killer).
  • Dalla linea linfoide (originate dai linfonodi) si genereranno le natural killer, i linfociti Helper CD4, i linfociti killer CD8 ed infine i linfociti B da cui genereranno gli anticorpi.

Nello specifico le difese immunitarie coinvolgono:

  • Organi linfatici: midollo osseo, timo e i tessuti linfatici di milza, tonsille, linfonodi, appendice, placche intestinali di Peyer;
  • Cellule: globuli bianchi (leucociti) circolanti nel sangue e nei tessuti;
  • Mediatori chimici: come le citochine, proteine che coordinano ed eseguono le risposte immunitarie, scambiandosi segnali che regolano reciprocamente il livello di attività cellulare con i diversi organi e tessuti.

Il sistema immunitario attua due forme di difesa: l’immunità aspecifica/innata e l’immunità specifica/adattativa.

L’immunità innata o aspecifica, chiamata anche immunità naturale, consiste di meccanismi in grado di agire con rapidità contro l’agente estraneo che viene riconosciuto come una minaccia. È presente fin dalla nascita e comprende sia le barriere dell’organismo (la pelle, le membrane mucose presenti nelle parti del corpo a diretto contatto con l’esterno, come ad esempio bocca, naso e orecchie e le secrezioni come la saliva o il sudore) che le cellule e proteine circolanti che fungono da regolatori e mediatori della risposta infiammatoria dell’organismo. Se l’agente aggressivo supera questa barriera, l’organismo reagisce producendo e mobilizzando cellule e sostanze che servono a fronteggiare e riparare i danni subiti.

Le cellule dell’immunità innata sono: macrofagi, fagociti, monociti, cellule dendritiche, granulociti, neutrofili (fagociti) eosinofili (IgE), basofili (mastociti) e natural killer.

L’immunità specifica o adattativa, chiamata anche immunità acquisita, si sviluppa invece dopo la nascita, durante il primo anno di vita, e viene potenziata ed “educata” in risposta alle infezioni e agli agenti estranei che incontra. Essendo una risposta che l’organismo fabbrica su misura a seconda dell’agente estraneo, l’immunità specifica o adattiva è molto più veloce ed efficace rispetto a quella innata, può essere rafforzata con le vaccinazioni e possiede meccanismi atti a instaurare memoria degli agenti incontrati e della specifica risposta instaurata. Si tratta di una difesa mirata nei confronti di determinati antigeni, ovvero sostanze che il nostro organismo riconosce come estranee.

Il meccanismo di risposta dell’immunità specifica, o adattiva, è reso possibile grazie ai linfociti T, B e all’immunità cellulomediata.

SISTEMA INNATO

Le cellule dell’immunità innata sono: macrofagi, fagociti, monociti, cellule dendritiche, granulociti (neutrofili (fagociti) eosinofili (IgE), basofili (mastociti) e Natural Killer.

INFIAMMAZIONE

In genere una volta superate le barriere di superficie, il corpo risponde in primis con un’infiammazione prodotta sia dagli eicosanoidi che dalle citochine, tipo prostaglandine, leucotrieni, 36 tipi di interleuchine e i tre tipi di interferone. Dopo, a seconda del tipo di assalto, ci sarà una risposta diversa.

L’infiammazione è una reazione caratteristica dell’immunità innata, molto importante per combattere l’infezione in un tessuto danneggiato:

  1. attrae le sostanze e le cellule immunitarie nel luogo dell’infezione;
  2. produce una barriera fisica che ritarda la diffusione dell’infezione;
  3. ad infezione risolta, promuove processi di riparazione del tessuto danneggiato.

La risposta infiammatoria è scatenata dalla cosiddetta degranulazione dei mastociti, cellule presenti nel tessuto connettivo che in seguito all’insulto liberano istamina ed altre sostanze chimiche, le quali aumentano il flusso sanguigno e la permeabilità dei capillari e stimolano l’intervento dei globuli bianchi.

I sintomi tipici dell’infiammazione sono l’arrossamento, il dolore, il calore e il gonfiore dell’area infiammata.

NOTA BENE: oltre che dalle infezioni, la risposta infiammatoria può essere innescata anche da punture, ustioni, lesioni ed altri stimoli che danneggiano i tessuti.

I principali attori cellulari del sistema immunitario che intervengono nell’infiammazione sono i neutrofili, i mastociti e macrofagi.

I GRANULOCITI si dividono in neutrofili (fagocitano i batteri e rilasciano citochine), eosinofili (combattono i parassiti e partecipano alle reazioni allergiche) e basofili (mastociti che rilasciano istamina, eparina, citochine ed altre sostanze chimiche coinvolte nella risposta allergica ed immunitaria).

  • I granulociti neutrofilifagociti, rappresentano il 70% dei leucociti. Hanno una vita abbastanza breve, dalle 7 alle 10 ore in circolo e circa tre giorni nei tessuti per poi morire per apoptosi. Hanno una forma segmentata del nucleo costituito da cinque o sei lobi uniti da materiale nucleico. Hanno un’azione di fagocitosi, di degranulazione della cellula, di NETosi, che consiste nella formazione di trappole extracellulari. I Net sono reticoli extra cellulari e tridimensionali di cromatina condensata e varie proteine nucleari e granulari che includono principalmente istoni ma anche proteine antimicrobiche come defensina, catepsina, lattoferrina e mieloperossidasi (MPO).
  • I granulociti basofili – mastociti, sono coinvolti nelle risposte antiparassitarie e anche nella risposta allergica e nell’asma. Nella resistenza nei confronti dei parassiti, in primis, hanno un’azione tipo centrale operativa e gestiscono la risposta propria dei monociti.

Tutte queste cellule hanno un’attività direttamente cellulo-mediata contro i patogeni e soprattutto contro le cellule neoplastiche.

I mastociti sono cellule sentinella disposte nei tessuti. L’interleuchina 6 (IL6) stimola la produzione di istamina.

La loro funzione può specializzarsi nella fagocitosi e nella produzione di citochine infiammatorie. L’istamina ha un’azione vasodilatatrice, di broncocostrizione, di aumento della permeabilità capillare e contrazione della muscolatura liscia.
I mastociti possono fagocitare anche i batteri e i virus e distruggerli tramite la produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS). I mastociti secernono anche eparina, triptasi e l’attivatore del plasminogeno, regolando così meccanismi fibrinolitici che forniscono la perfusione e la nutrizione necessarie per la riparazione dei tessuti periferici.

I MASTOCITI

I mastociti hanno lo scopo di partecipare alla guerra contro i parassiti (al contrario della guerra contro gli invasori batterici o virali). Sono legati all’interno dei tessuti che si interfacciano con il mondo esterno come la pelle, il tratto respiratorio o quello intestinale. Non circolano attraverso il corpo.

Il mastocita possiede granuli di sostanze biochimiche particolarmente infiammatorie destinate all’uso contro i parassiti invasori, come piccole bombe che possono essere rilasciate. Il mastocita ha siti di legame sulla sua superficie per un tipo di anticorpo chiamato IgE. Le IgE sono prodotte in risposta all’esposizione ad antigeni tipici dei parassiti (es. proteine della pelle del verme o proteine di forma simile). Gli anticorpi IgE, che hanno la forma di minuscole Y, trovano la loro strada verso un mastocita tissutale e si appollaiano lì. Con una sufficiente esposizione all’antigene in questione, i mastociti possono essere rivestiti da anticorpi IgE a forma di Y come la peluria di un dente di leone. Si dice che il mastocita, a questo punto, sia sensibilizzato.

Come detto, gli anticorpi IgE sono a forma di Y. Il loro piede è piantato nel mastocita mentre le loro braccia si alzano sperando di catturare l’antigene per il quale sono state progettate individualmente. Quando l’antigene arriva e viene catturato dagli anticorpi IgE, questo dovrebbe indicare che un parassita è vicino e il mastocita, come una mina terrestre, si degranula rilasciando le sue armi biochimiche tossiche. Queste sostanze chimiche sono dannose per il parassita, inoltre servono come segnali ad altre cellule immunitarie che è in corso una battaglia, affinchè si uniscano.

Il problema è che il mondo odierno è più pulito e senza molti parassiti e quello che purtroppo tende ad accadere è che il sistema IgE/mastociti viene stimolato con altri antigeni che sono di forma o dimensione simili agli antigeni parassiti. Questi prossimi antigeni migliori, sono solitamente proteine del polline e il risultato è un’allergia. Invece di uccidere un parassita invasore, le sostanze biochimiche dei mastociti producono arrossamento locale, prurito, gonfiore e altri sintomi che associamo alle reazioni allergiche.

I GRANULOCITI EOSINOFILI

I granulociti eosinofili, il cui nome deriva dalla presenza al loro interno di granuli in grado di legare fortemente l’eosina, una sostanza colorante (rosso-arancio) usata durante l’analisi di laboratorio, una volta maturi circolano nel sangue per 6-10 ore, per migrare poi nei tessuti dove svolgono la loro funzione per ulteriori 8-12 giorni.

Hanno funzione di difesa dell’organismo, ricoprendo importanti ruoli nei meccanismi di reazione allergica e nella difesa da parassiti ed elminti (vermi). Sono inoltre in grado di rilasciare mediatori per i processi infiammatori e l’uccisione dei microbi.

Una seconda importante funzione, benché negativa per l’uomo, è la secrezione di leucotrieni, molecole coinvolte nella patogenesi dell’asma, in grado di stimolare tra l’altro la secrezione di muco e favorire lo sviluppo di broncocostrizione.

I MONOCITI

I monociti maturano divenendo mastociti poi macrofagi dotati di attività fagocitaria e di stimolo nei confronti dei linfociti T.
I monociti sono fagociti mononucleati che derivano dal midollo osseo e circolano nel sangue. Si possono suddividere in tre classi in funzione della presenza sulla loro superficie di due marcatori CD14 e CD16:

  • I monociti classici hanno CD14 maggiori di CD16 (CD14>CD16). Hanno un’azione fagocitaria, producono interferone 1 e interleuchina 15 (IL15) necessari per attivare le Natural killer.
  • I monociti intermedi presentano alta espressione di CD 14 ma anche un aumento di CD 16 (CD14 = CD16)
  • I monociti non classici presentano l’espressione di CD 16 maggiore di CD 14 (CD 14<CD16)

Questi ultimi due (intermedi e non classici) hanno una ridotta capacità fagocitaria e sono le principali fonti di citochine pro infiammatorie come interleuchina1B, interleuchina 6, interleuchina 8 e TNFa.

Tutti i monociti emergono dal midollo osseo come monociti classici, col tempo si differenziano in monociti intermedi e poi in monociti non classici.

I monociti classici sono di fatto cellule immunitarie giovani, i monociti intermedi sono adulti e monociti non classici sono quelli vecchi. Quest’osservazione è fondamentale perché nelle infezioni da Covid o in alcune sepsi, si è dimostrata una maggiore presenza di monociti non classici, che, anziché fagocitare i virus, producono le interleuchine proinfiammatorie presenti nella tempesta citochinica della malattia virale. Da qui diventa indispensabile l’esame che analizza il volume dei monociti, infatti appurato se esiste una presenza eccessiva di monociti non classici o quelli intermedi, si potrà fare una diagnosi e prognosi della malattia in atto.

LE CELLULE DENDRITICHE

Le cellule dendritiche sono tra le più importanti di cui disponiamo, perché sono il punto di contatto tra l’immunità innata e quella adattativa. Queste cellule derivano dal midollo e nascono da seguenti progenitori: cellule dendritiche convenzionali e cellule dendritiche plasmocitoidi. Hanno la capacità di migrare negli organi linfoidi secondari ed attivare i linfociti T, e una volta incontrato il patogeno, lo fagocitano. Lo elaborano formando epitopi che lo espongono sulla membrana esterna dove è presente l’antigene.

Quindi le cellule dendritiche sono delle vere proprie sentinelle presenti nei tessuti che insegnano ai linfociti THelper CD4 a riconoscere i patogeni e quindi a cascata ai linfociti T killer CD8 citotossici a uccidere le cellule infettate e ai linfociti B a produrre gli anticorpi. Sono grandi produttrici di interferone 1 alfa.

LE CELLULE NATURAL KILLER

Le natural killer sono cellule che somigliano ai linfociti ma differentemente da loro non hanno bisogno di cellule presentanti che le istruiscono a distruggere le cellule infettate dai virus, esse sono subito pronte ad eliminare i bersagli, hanno un’azione citotossica sia contro le cellule infettate da virus sia contro quelle tumorali. Presentano uno sviluppo extra timico, provengono dalla linea linfoide (linfonodi) sono normalmente presenti nei tessuti come presidio per contrastare eventuali infezioni batteriche e virali.

Le armi delle natural killer sono la produzione di interferone 2, la produzione di perforina e granzima e il rilascio di TNF alfa che induce l’apoptosi delle cellule bersaglio. Queste cellule attivano il sistema immunitario catturando gli antigeni ed esponendoli all’azione delle cellule “killer”.

Anche le piastrine rappresentano un elemento fondamentale nell’immunità innata, ad esempio sono anch’esse delle vere e proprie sentinelle alla continua ricerca di patogeni. Nascono dal midollo e hanno il compito anche di mantenere l’integrità della barriera endoteliale nei polmoni soprattutto durante l’infiammazione. Allo stesso tempo, però, possono attivare l’infiammazione sintetizzando l’interleuchina 1B inducendo l’aumento della permeabilità endoteliale.

Studi realizzati sul COVID dimostrano una maggiore presenza di piastrine aggregate ai neutrofili.

IMMUNITA’ SPECIFICA ADATTATIVA

I Linfociti si dividono in Linfociti T (dal Timo) (sintetizzati nel midollo e differenziati nel timo) e Linfociti B (borsa di Fabrizio) (sintetizzati nel midollo e poi differenziati nei linfonodi). Mediano l’immunità acquisita, combattono specifici agenti virali e cellule tumorali (linfociti T citotossici) e coordinano l’attività dell’intero sistema immunitario (linfociti T helper). I linfociti T maturano nel timo e circolano nel sangue e nel sistema linfatico riconoscendo le cellule dell’organismo come proprie ed evitando di aggredirle.

Esistono diversi tipi di linfociti T: le popolazioni meglio definite sono le cellule T helper e le cellule T killer. Per riconoscere l’antigene, i T helper hanno bisogno di venire a contatto con altre cellule che presentino loro quel particolare antigene (cellule dendritiche, macrofagi, linfociti B).

I macrofagi, le cellule “spazzine” del nostro organismo, dopo aver “mangiato e digerito” una struttura estranea, espongono frammenti di antigene sulla loro superficie (epitopi) in modo da mostrarli ai T helper, che, se li riconoscono, si attivano secernendo sostanze chiamate citochine. Le citochine aiutano gli altri tipi di linfociti T ad eliminare le cellule estranee che hanno aggredito l’organismo (attività citotossica).

I LINFOCITI T

I linfociti T sono presenti in due principali sottopopolazioni: T-Helper (con recettore CD4+) e T-Killer (con recettore CD8+).

I linfociti T Helper- CD4, presiedono alla regolazione di tutte le risposte immuni per mezzo del rilascio di citochine che aiutano i linfociti B a formare anticorpi ed i linfociti T citotossici. Hanno quindi una funzione aiutante di coordinamento.

Esse sono un tipo di globuli bianchi in grado di attivare una risposta specifica per ogni tipo di sostanza estranea. Hanno una blanda capacità di uccidere le cellule infette, perché la loro funzione principale è quella di stimolare e attivare la produzione degli anticorpi e l’attività citotossica detti CD8.

le cellule CD4 sono prodotte dal timo, circolano in tutto il corpo attraverso il sangue e il sistema linfatico. Dopo che incontrano le cellule presentanti l’antigene, la maggior parte si differenzia in una varietà di sotto insiemi di cellule per TH 1 e TH 2 TH 17 o T-regolatori. In particolare, quando una cellula CD4 entra in contatto con un antigene, questo induce la formazione di un complesso noto come sinapsi immunologica che precede l’attivazione delle cellule T.

La differenziazione specifica, se TH1. Th2, th17 o TH regolatore, dipende dalla presenza di citochine che ne decidono il lignaggio. Ad esempio, dall’esposizione dell’interleuchina 12 (IL12) e dell’interferone gamma, si formano le TH1, specifici per attivare la risposta immunitaria citotossica nei confronti delle cellule non self, ovvero quelle invase da virus o cellule tumorali. A loro volta producono interleuchine specifiche come l’interferone gamma e TNF B.

Invece l’esposizione all’interleuchina 4 induce la formazione delle TH2. Sono specifiche per uccidere patogeni extracellulari, parassiti e batteri e a loro volta producono interleuchine specifiche 4 – 5 – 13.

I linfociti T Killer (CD8+) presiedono alla risposta immune esercitando un’azione tossica contro le loro specifiche cellule bersaglio (cellule infettate e cellule tumorali). Hanno quindi una funzione di demolizione di cellule estranee, ovvero quelle cellule che esprimono un DNA non conforme alle cellule normali.

Dopo l’attivazione riconoscono le molecole di un complesso di maggiore istocompatibilità presente su tutte le cellule nucleate del nostro organismo. È come se le cellule infette avessero un’antenna sulla testa con la quale avvisano i linfociti CD8 di essere un pericolo per l’organismo.

Una volta avvenuto il riconoscimento, il legame causa la formazione della sinapsi. I linfociti CD8 sferrano il colpo letale con l’apertura dei granuli che inducono l’apoptosi delle cellule bersaglio rilasciando granzimi, perforina, serglicina, granulisina.
I linfociti CD8 producono anche interferone 2 gamma che induce l’attivazione dei macrofagi e la loro conseguente azione di fagocitosi.

L’azione citotossica dei linfociti T CD8 è la più importante arma di difesa dell’immunità adattativa in quanto in grado di distruggere le cellule infettate dai virus e quindi impedire un’eccessiva replicazione virale. Purtroppo, però, non è sufficiente che linfociti CD8 incontri le CD 4 Helper per attivare e svolgere il loro lavoro, deve infatti instaurarsi un micro ambiente cito chimico che permette la maturazione dei linfociti CD8 immaturi presenti nel timo.

TIPIZZAZIONE LINFOCITARIA

I linfociti sono suddivisi in diverse sottopopolazioni caratterizzate da antigeni (proteine) chiamati CD (cluster differentiation, gruppo di differenziazione) presenti sulla superficie cellulare:

  • linfociti T totali (CD3), hanno sulla superficie della membrana l’antigene CD3. Sono essenziali nell’immunità cellulo-mediata. I linfociti T rappresentano il 60-80% circa dei linfociti totali circolanti nel sangue;
  • linfociti T Helper (CD4), sono chiamati linfociti CD3+/CD4+ perché sulla loro superficie cellulare, oltre all’antigene CD3, è presente l’antigene CD4 che conferisce loro la proprietà di stimolare o “aiutare” (Helper) i linfociti B a produrre anticorpi. L’antigene CD4 è presente in tutti i disordini linfoproliferativi cronici T;
  • linfociti T citotossici (CD8), sono chiamati CD3+/CD8+ perché sulla loro superficie cellulare, oltre all’antigene CD3, è presente l’antigene CD8. Hanno la funzione di distruggere virus, batteri o altri antigeni estranei all’organismo;
  • linfociti T regolatori (CD25), sono detti CD4+/CD25+ e hanno una funzione regolatrice sulla produzione dei linfociti T Helper;
  • linfociti B (CD19), sono detti linfociti CD3+/CD19+. I linfociti B, prodotti nel midollo osseo, hanno la funzione di produrre anticorpi. La conta dei linfociti B è utile per valutare la loro maturità e per accertare (diagnosticare) la leucemia B cronica e la leucemia prolinfocitica. I linfociti B possono essere ulteriormente suddivisi in sottopopolazioni identificate con CD38. L’analisi di queste sottopopolazioni è utile per accertare (diagnosticare) malattie linfoproliferative;
  • linfociti NK (Natural Killer), sono detti CD3+/CD56+. Sono una sottopopolazione linfocitaria in grado di produrre citochine (per esempio l’interferone gamma) e di riconoscere e distruggere le cellule tumorali e le cellule infettate da virus. La rilevazione dei linfociti NK è utile per valutare lo stato immunitario di persone con malattie in corso o che si stanno sottoponendo a trattamenti immunodepressivi e per verificare la reazione immunitaria delle persone sottoposte a trapianto d’organo.

Utilizzando degli anticorpi specifici, diretti verso i vari antigeni presenti sulla membrana cellulare, è possibile differenziare le diverse sottopopolazioni linfocitarie.

TH-CD4:

  • presentano i recettori di membrana CD4;
  • riconoscono antigeni presentati dal MHC II;
  • inducono differenziamento dei linfociti B in plasmacellule (quest’ultime produttrici di anticorpi);
  • regolano l’attività dei linfociti T citotossici;
  • attivano i macrofagi;
  • secernono le citochine (interleuchine);
  • esistono diversi sottotipi di linfociti T helper; Th2 e Th1. 


TK-CD8:

  • riconoscono gli antigeni presentati dal MHC I;
  • colpiscono selettivamente cellule infettate da virus e cancerogene;
  • regolati dai T Helper.

I linfociti T Killer CD8 liberano anche potenti sostanze chimiche, le LINFOCHINE, che attirano i macrofagi e stimolano e facilitano la fagocitosi (attaccano direttamente la cellula estranea provocando dei fori, che facilitano il lavoro dei macrofagi).

I linfociti TH 17 sono in grado di proteggere da patogeni extracellulari funghi e batteri e a loro volta producono interleuchine specifiche e alle 17 – 21 – 22. Quando un’infezione è stata sconfitta, l’attività del linfocita B e T viene bloccata grazie all’azione di altri linfociti T detti soppressori che, appunto, sopprimono la risposta immunitaria: tuttavia, questo processo non è del tutto chiaro ed è attualmente fonte di diversi studi.

RICAPITOLO:

I linfociti T si dividono in T-killer, T-Helper, e T regolatori.

I T-killer, con funzione di demolizione di cellule estranee, hanno come recettore il CD8 mentre i T-Helper, con funzione di coordinamento, attraverso il rilascio delle citochine, hanno come recettore CD4. Quindi mentre i T-Killer attraverso i recettori CD8 hanno un’azione citotossica, i T-Helper attraverso i recettori CD4 secernono citochine in seguito alla stimolazione antigienica fungendo da aiutanti nella risposta immunitaria adattativa.

TH1 – TH2

I TH1 sono favoriti dalla acidosi tessutale e danno una risposta cellulo-mediata, ovvero non hanno bisogno di interagire con i linfociti B e coi i loro anticorpi per attivare una risposta immunitaria. Essi producono alcuni mediatori: interleuchina2, interferone gamma e beta e agiscono direttamente su virus e cellule tumorali.

I TH2 sono stimolati da disbiosi e dalle nitrosamine e sono responsabili della risposta umorale, ovvero attivano i linfociti B e di conseguenza la produzione di anticorpi. Quindi producono citochine come IL-4 – 5- 6 e interferone B mediati dal rilascio dell’istamina, eosinofili e prostaglandine. Questi attivano i mastociti preposti al rilascio di agenti vasodilatatori, anticoagulanti e infiammatori.

I TH3 modulano e regolano i TH1 e TH2 precedenti.

Quando il nostro corpo è attaccato da una forma di antigene, tramite le cellule dendritiche fa maturare i linfociti (naive) vergini verso la sottospecie adatta alla risposta (i linfociti TH1 in caso di virus e cellule neoplastiche, o linfociti TH2 in caso di batteri o allergeni), i quali incominciano a produrre le interleuchine che stimoleranno gli altri linfociti vergini ad aumentare la popolazione linfocitaria a favore di una delle due sottospecie, mentre l’altra diminuirà sensibilmente (sbilanciamento TH1/TH2).

Terminato l’evento infettivo, entrano in gioco i linfociti TH3 regolatori, i quali producono uno speciale mediatore chiamato Tgf-B, che inattiva le interleuchine di entrambe le classi di linfociti facendo così cessare la produzione di linfociti e diminuendo l’infiammazione.

Esiste inoltre un altro sistema di regolazione, rivolto però SOLO ai linfociti TH1. Difatti l’eccessiva produzione di questo tipo di linfocita può portare ad un effetto di distruzione delle nostre cellule da parte del sistema immunitario (malattie autoimmuni). L’evoluzione infatti ha fornito il nostro corpo di un’arma straordinaria, ovvero il cortisolo prodotto dalle ghiandole surrenali che uccide in maniera selettiva i linfociti TH1 e i linfociti T killer velocizzando il ritorno alla omeostasi.

In altre parole, quando c’è un’eccessiva produzione di TH1 in risposta alla eccessiva acidità dei tessuti, ci potrà essere una risposta esagerata cellulo-mediata che potrà rivolgersi anche al nostro organismo creando situazioni di autoimmunità.
In tal caso interviene subito il cortisolo endogeno che fa ridurre la produzione di TH1 velocizzando e riportando l’omeostasi.

Ovviamente in caso di eccessiva risposta, una smisurata produzione di cortisolo endogeno porta a un’eccessiva iperglicemia con un paradossale aumento dell’acidità per toppa glicolisi (troppo atp da acido piruvico e lattico).

Quando invece per vari motivi allergeni vengono in circolo si ha una proliferazione di TH2 i quali tramite le interleuchine 3 e di interleuchina 5 stimolano eosinofili e mastociti producendo più istamina ed acido arachidonico responsabili della cascata infiammatoria.

L’interleuchina 4 inibisce la stimolazione di TH1 sbilanciando verso un aumento di TH2 rendendo l’organismo più vulnerabile verso infezioni virali e crescita di cellule tumorali. Inoltre l’interleuchina 4 stimola la produzione di IGE creando allergie, infatti i soggetti allergici hanno una stimolazione costante e sbilanciano verso il TH2 e quindi i soggetti sono più scoperti verso le difese della malattia virale e tumorale.

Mangiare troppi zuccheri porta a disbiosi che porta alla decarbossilazione delle proteine con produzione di istamina, cadaverina, putrescina e spermidina.

Gli enzimi Dao, Mao, Pao, sono in genere in grado di distruggere queste ammine endogene tossiche, ma in caso di troppa disbiosi questi enzimi vengono distrutti e si ha la sindrome da sgocciolamento e intolleranza alimentare. Quando queste sostanze vanno in circolo creano una situazione di sbilanciamento TH1 e TH2 a favore dei TH2.

Il TH17 stimolato da funghi e batteri, è mediato dall’aumento dell’interleuchina 6 ed è stimolato da funghi e candida entrando nel complesso sistema delle malattie autoimmunitarie, nelle psoriasi e nelle malattie neurologiche (sclerosi a placche).

LINFOCITI B

I linfociti B (cellule B) maturano nel midollo osseo e si localizzano nei linfonodi.

Anche il linfocita B si attiva a contatto con un antigene. Stimolato dall’antigene, il linfocita B si riproduce diverse volte, (blsatizzazione) dando origine a svariate cellule figlie, tutte identiche, dette cloni. (In questa blastizzazione si rilasciano tutti gli ormoni ipofisari tra cui anche il Gh che provoca la classica febbre di crescenza).

Parte di queste cellule cloni si attiva poi in plasmacellule, che sono i genitori degli anticorpi specifici nei confronti di un determinato invasore. La restante parte di cloni ha invece funzione di cellule della memoria per fronteggiare in maniera più rapida e specifica eventuali aggressioni future da parte dello stesso antigene.

I linfociti B originano dal midollo osseo. Una volta differenziati in plasmacellule producono gli anticorpi e sono le uniche cellule del corpo a farlo. Una volta che incontrano gli antigeni possono maturare e produrre le immunoglobuline M con una bassa affinità al patogeno.

Nel secondo caso, quando si parla di anticorpi neutralizzanti, linfociti B, dopo aver interiorizzato il virus devono incontrare le cellule presentanti l’antigene come TH CD4 nei linfonodi per combaciare con i dati di riconoscimento. In pratica se non viene confermata l’esistenza della minaccia tramite l’abbinamento dell’informazione linfociti B non maturano. A questo punto il linfocita B inizia a duplicarsi e a produrre gli anticorpi IGG, IGE, IGM E IGD, tutti a forma di Y.

Le principali funzioni delle immunoglobuline possono essere così riassunte:

Attivazione del complemento: il complemento rappresenta un meccanismo di difesa del sistema immunitario che scatena un’azione citotossica capace di distruggere la membrana cellulare del patogeno.

Agglutinazione: gli anticorpi legandosi all’antigene e fra sé stessi generano strutture definite immunocomplessi che tendono a precipitare.

Citotossicità cellulare dipendente da anticorpi: le immunoglobuline soprattutto le IGE riconoscono un antigene e reagiscono attaccandosi alla membrana cellulare del patogeno. Le natural killer e i macrofagi riconoscono le immunoglobuline, vi si legano inducendo citotossicità nei confronti della cellula estranea.

Neutralizzazione: le immunoglobuline IGG e IGA hanno la capacità di unirsi direttamente ai virus coprendo la porzione virale che consente loro di legarsi alle cellule impedendo quindi l’entrata nelle cellule.

Opsonizzazione: gli anticorpi sono in grado di avvolgere un virus rendendolo più appetibile per la fagocitosi.

Protezione delle mucose: le IGA sono capaci di rivestire le mucose dei tessuti svolgendo la funzione di barriera nei confronti dell’ingresso del virus.

Gli anticorpi vengono catalogati in 5 classi, ovvero: IgA, IgD, IgE, IgG e IgM

IgG: risposta immunitaria secondaria, antibatterica e antivirale; sono quelle più rappresentative dal punto di vista numerico. Hanno il ruolo di stimolare la fagocitosi dei patogeni ad opera dei fagociti e di attivare il sistema del complemento e nella funzione di neutralizzare il virus. Il loro limite è che vengono prodotti dopo 12 giorni.

IgM: risposta immunitaria primaria. Fissa il complemento e provvede alla lisi degli agenti patogeni; hanno un’emivita di 5/10 e vengono prodotte senza maturazione a contatto con l’antigene. Sono poco efficienti rispetto ad altre classi ma più specifiche nel promuovere l’agglutinazione e nell’attivare il complemento. A causa delle loro elevate dimensioni però non si diffondono facilmente e risultano scarsamente presenti nei liquidi interstiziali, sono presenti soprattutto nel sangue nel liquidò linfatico.

IgA: risposta immunitari primaria. Fissa il complemento e provvede alla lisi degli agenti patogeni livello delle mucose polmonari e intestinali. Sono distribuite nelle secrezioni corporee del tratto digerente e respiratorio, sono presenti anche nel latte materno, nella saliva e nella bile. Svolgono le fondamentali funzione di immunità neonatale ed immunità a livello delle mucose.

IgE: reazione allergiche di tipi 1. Sono coinvolte nella risposta immunitaria nei confronti dei parassiti ma svolgono una funzione fondamentale nel corso delle reazioni allergiche. La loro produzione viene stimolato dall’istamina.

IgD: azione modulatoria sulle altre immunoglobuline. Rappresentano la porzione più piccola di tutti gli isotipi e rappresentano 1%. Si trovano unicamente sulla superficie dei linfociti B immaturi, hanno la sola funzione di attivare linfociti e promuovere il differenziamento in plasmacellule. In definitiva, le vere immunoglobuline, quelle in grado di neutralizzare il virus, sono le IGG, IGE,

IGA, ma vengono prodotte solo a seguito dell’incontro con i linfociti TH CD4. Per attivare le cellule B, che nel frattempo si sono trasformate in plasmacellule, deve esserci la presenza di specifiche interleuchine. Nel caso delle IGE è necessaria la presenza dell’interferone 2 gamma, per le IGG, l’interleuchina 4, per IGG il fattore di crescita trasformante beta (TGF B).

Gli anticorpi possono anche legare ed inattivare alcune tossine batteriche e concorrono ad alimentare l’infiammazione attivando il complemento ed i mastociti.

Gli antigeni immunogeni sono molecole in grado di stimolare la sintesi di anticorpi; in particolare tutte queste molecole presentano una piccola parte in grado di legarsi al suo specifico anticorpo. Tale porzione, detta epitopo, differisce generalmente da antigene ad antigene. Ne consegue che ogni anticorpo riconosce ed è sensibile solo ad uno o più epitopi specifici e non all’intero antigene.

Il sistema immunitario è molto complesso per il numero smisurato di mediatori e messaggeri che, emessi dalle cellule normali o immunitarie, regolano e alterano le difese. Tra le più importanti troviamo le interleuchine, il fattore di necrosi tumorale, l’istamina e gli interferoni. Le citochine sono mediatori polipeptidi che fungono da segnale di comunicazione fra le cellule del sistema normale immunitario e si distinguono in quattro famiglie.

MEDIATORI INTERCELLULARI

Il sistema immunitario è molto complesso per il numero smisurato di mediatori e messaggeri che, emessi dalle cellule normali o immunitarie, regolano e alterano le difese. Tra le più importanti troviamo le interleuchine, il fattore di necrosi tumorale, l’istamina e gli interferoni. Essi sono mediatori polipeptidi che fungono da segnale di comunicazione fra le cellule del sistema normale e immunitario.

CITOCHINE

Le citochine possono avere un effetto autocrino (modificando il comportamento della stessa cellula che l’ha secreta), o paracrino (modificano il comportamento di cellule adiacenti). Alcune citochine possono invece agire in modo endocrino, modificando cioè il comportamento di cellule molto distanti da loro. Hanno una vita media di pochi minuti.

Queste proteine possono essere distinte in 4 gruppi (basati sulla loro struttura):

  • famiglia delle ematopoietine, che include diversi fattori di crescita, tra cui l’eritropoietina (Epo) e varie interleuchine;
  • famiglia dei TNF (tumor necrosis factor), tra cui il TNF-α;
  • famiglia delle chemochine, tra cui MIP-1α e RANTES, importanti nel controllo del virus dell’HIV;
  • famiglia delle interleuchine dall’IL-1 all’IL-36.
  • famiglia degli interferoni.

INTERLEUCHINE

Le interleuchine sono delle proteine prodotte all’interno delle cellule soprattutto immunitarie, ma anche normali, che vengono secrete e rilasciate nella matrice extracellulare. Ad oggi sono state studiate ben 36 diversi interleuchine.
La tempesta citochinica molte volte è responsabile della morte dei pazienti e questo accade quando l’eccesso citochinico non fa comunicare il sistema immunitario primitivo con quello adattivo. Le Interleuchine, fungono da messaggeri chimici “a corto raggio d’azione”, agendo specialmente tra cellule adiacenti:

  • L’Interleuchina-1 viene prodotta dai macrofagi e ha come bersaglio i linfociti T, linfociti B e altri tipi di cellule come gli epatociti in cui stimola la produzione di proteine della fase acuta come la proteina C, permette l’extravasazione di molte cellule infiammatorie.
  • L’Interleuchina-2 viene prodotta dai linfociti TH1 e agisce sulle medesime cellule T, sulle cellule NK e stimola la proliferazione e il differenziamento cellulare.
  • L’Interleuchina-3 viene liberata dai linfociti Th1 e agisce sulle cellule emopoietiche indifferenziate come fattore di crescita e favorisce la crescita dei mastociti
  • L’Interleuchina-4 è liberata dai linfociti Th2 e ha come bersaglio i linfociti B su cui stimola la crescita e la commutazione di classe verso le IgE.
  • L’Interleuchina-5 viene liberata dai linfociti TH2 e agisce sui linfociti B in cui stimola la produzione di IgA.
  • L’Interleuchina-6 è secreta dai linfociti TH1 e dai macrofagi, aumenta nel movimento muscolare. nelle neoplasie, artrite reumatoide e polmoniti interstiziale. Regola la fisiologia dell’infiammazione.
  • L’Interleuchina-8 ha il compito di attivare i neutrofili.
  • L’Interleuchina-10 la più importante viene prodotta dai linfociti Th2 e agisce sulle cellule Th1 inibendole. Spegne l’infiammazione e stimola la riparazione tessutale.
  • L’Interleuchina-11 viene liberata dai macrofagi, cellule dendritiche e agisce sui linfociti B, sui precursori megacariociti e induce crescita e attivazione.
  • L’Interleuchina-12 stimola l’attività citotossica delle natural killer.
  • L’Interleuchina-17 altamente proinfiammatoria.

Queste piccole proteine agiscono legandosi a specifici recettori localizzati sulle membrane cellulari delle cellule bersaglio e ognuno traduce uno specifico segnale che alla fine porterà a modifiche in quelle stesse cellule.

INTERFERONI

Gli interferoni vengono prodotti sia da alcune cellule immunitarie sia da fibroblasti ed hanno il compito di inibire la replicazione dei virus all’interno delle cellule infette, di impedire la diffusione virale ad altre cellule, di rafforzare l’attività delle cellule preposte alle difese immunitarie e di promuovere l’azione immunitaria adattativa.

Esistono tre tipi di interferone: interferone 1 (che si suddivide in alfa e beta), interferone 2 (di tipo gamma) e interferone 3 (di tipo lambda). Essi sono prodotti dai linfociti NK e da altri tipi di cellule, così chiamate per la loro capacità di interferire con la riproduzione virale. Gli interferoni facilitano (interferiscono) le cellule che partecipano alla difesa immunitaria e alla reazione infiammatoria, sono attivi contro i virus, ma non li attaccano direttamente, bensì stimolano le altre cellule a resistere ad essi, in particolare:

  • agiscono sulle cellule non ancora infettate inducendo uno stato di resistenza all’attacco virale (interferone alfa ed interferone beta);
  • contribuiscono ad attivare le cellule Natural killer (NK);
  • stimolano i macrofagi ad uccidere le cellule tumorali o infettate da virus (interferone gamma);
  • inibiscono la crescita di alcune cellule tumorali. o interferone alfa sono prodotti dai TH2
  • Interferone beta e gamma sono prodotti dai TH1

L’interferone 1 alfa è da considerarsi la molecola più importante del sistema immunitario contro i virus, il vero regista della risposta immunitaria innata, il punto di congiunzione con quella adattativa. La vera campionessa di produzione di questo interferone è la cellula dendritica. Come interferone di tipo 1 agisce sulle cellule immunitarie migliorando la funzione fagocitaria dei macrofagi, regolando la migrazione dei neutrofili nei tessuti infetti, promuovendo l’accumulo delle cellule natural killer influenzando la capacità delle cellule T CD4 di fornire aiuto alle cellule B stimolando il rilascio dell’interleuchina 12 15 18 da parte delle cellule dendritiche.

L’interferone 2 gamma va considerato il regista della risposta immunitaria adattativa. Infatti, prende il testimone dal suo omonimo di tipo 1, e prosegue il lavoro influenzando tutte le risposte specifiche contro il virus identificato. È prodotto dalle cellule natural killer, dei linfociti attivati T CD4 di tipo TH1 e dalle cellule T CD 8 citotossica.

FATTORE DI NECROSI TUMORALE

  • Fattori di necrosi tumorale: secreti dai macrofagi e dai linfociti T in risposta all’azione delle interleuchine IL-1 e IL-6; permettono di alzare la temperatura corporea, dilatare i vasi.
  • È una citochina coinvolta nell’infiammazione sistemica ed è un membro di un gruppo di citochine che stimolano la reazione della fase acuta. Promuove azioni biologiche necessarie al funzionamento del sistema immunitario innato. Infatti interagisce con l’ipotalamo, il fegato, le cellule immunitarie e molti altri tessuti.


ISTAMINA

L’istamina è un’ammina biogena, uno dei mediatori chimici dell’infiammazione e deriva dalla decarbossilazione dell’istidina ad opera della istidina decarbossilasi. Condivide numerosi effetti con la serotonina. Ha un ruolo come neurotrasmettitore e un ruolo come pro infiammatorio. Essa provoca vasocostrizione arteriosa per cui produce ipertensione, vaso dilatazione delle arteriole, aumento della permeabilità dei capillari e delle vene.

È cronologicamente uno dei primi mediatori che intervengono nei sintomi dell’attacco dell’asma allergico. In effetti, l’istamina è una citochina prodotta in grandi quantità dai mastociti e queste cellule immunitarie sono le prime ad attivarsi in maniera sregolata nella tempesta citochinica.

 Uno degli aspetti più inquietanti di questa citochina è che stimola i mastociti e la produzione di citochine pro infiammatorie e, tramite la sua azione induce il rilascio dell’interleuchina uno 6 – 10 con la produzione di fattori di crescita trasformante beta.

Questo significa che l’istamina gioca un ruolo determinante nell’infiltrazione dei leucociti e nella deposizione di collagene. Inoltre non meno pericolosa la sua azione nel direzionare il sistema immunitario verso il fenotipo TH2.

Non a caso, l’istamina svolge un ruolo centrale nella patogenesi delle malattie allergiche. Quindi regole differenziale dei linfociti T Helper verso TH2 con la relativa secrezione di citochine TH2, interleuchina 5 – 4 – 10 – 13 e inibizione della produzione delle citochine TH1 con l’interleuchina 12 -2 e interferone gamma. Questo significa che attiva eccessivamente le plasmacellule inibendo allo stesso tempo l’importante azione dei linfociti T CD8 citotossici che non sono più in grado di riconoscere le cellule infette e di ucciderle prima che rilascino migliaia di copie virali.

Il sistema del complemento è costituito da a 20 proteine che “completano” l’uccisione degli agenti patogeni da parte degli anticorpi. Queste proteine si legano all’antigene e con un meccanismo a cascata marcano la distruzione formando poi gli anticorpi.

Le proteine del complemento sono assimilabili a messaggeri che sincronizzano le comunicazioni tra le varie componenti del sistema immunitario.

Le citochine circolano nel sangue e vengono sequenzialmente attivate, con un meccanismo a cascata (l’TMattivazione di una innesca quella delle altre), in presenza di stimoli appropriati. Quando si attivano, le citochine scatenano una serie di reazioni enzimatiche a catena che fanno acquisire ad alcuni componenti del sistema immunitario particolari caratteristiche, per esempio, attirano i fagociti e i linfociti B e T nel sito di infezione tramite un meccanismo detto chemiotassi.

Il sistema del complemento possiede inoltre una capacità intrinseca di ledere le membrane degli agenti patogeni provocando su di esse pori che portano alla lisi. Infine, il complemento ricopre le cellule batteriche “etichettandole” (opsonizzazione) come patogene, facilitando l’azione dei fagociti (macrofagi e neutrofili) i quali le riconoscono e le distruggono.

NOTA BENE: l’attivazione del complemento è un meccanismo comune sia all’immunità innata che a quella acquisita.

Esistono infatti tre vie distinte di attivazione del complemento:

  1. la via classica, mediata dagli anticorpi (immunità specifica);
  2. la via alternativa, attivata direttamente da alcune proteine delle membrane cellulari dei microbi (immunità innata);
  3. la via lectinica (utilizza il mannosio come sito di attacco alle membrane dei patogeni)
    I fattori di istocompatibilità maggiori e minori distinguono il Self dal non Self.

MECCANISMO D’AZIONE DEL SISTEMA IMMUNITARIO

Il sistema immunitario si muove sostanzialmente in tre fasi:

  • l’attivazione del sistema innato,
  • l’attivazione del sistema adattivo,
  • la risoluzione dell’infiammazione con la ricostruzione dei tessuti.


Nella prima fase viene attivato il sistema innato che deve in progressione svolgere le seguenti fasi:

  • lanciare l’allarme e formare il microambiente infiammatorio;
  • restringere la replicazione virale all’interno delle cellule infette;
  • reclutare cellule effettrice del sistema immunitario innato;
  • innescare la risposta immunitaria adattiva.


Nella seconda fase si attiva il sistema immunitario adattativo che si svolgerà le seguenti funzioni:

  • specializzare le cellule TH- CD4 (TH1- TH2) a riconoscimento del patogeno specifico;
  • attivare e far migrare le TK-CD8 citotossiche che inizieranno ad uccidere le cellule infette;
  • far maturare le cellule B ed iniziare la produzione degli anticorpi.


Nella terza fase si conclude e risolve il processo infettivo:

  • si spegne l’infiammazione;
  • si ripristina l’omeostasi e si ricostruiscono i tessuti;
  • si differenziano le T-reg con produzione di interleuchina 10;
  • si attua l’apoptosi delle cellule del sistema immunitario;
  • si produce il TGF beta;
  • si attivano le piastrine ed altre citochine stimolante i fibroblasti.

Analizziamo in dettaglio le varie fasi.

  1. Durante la prima fase il sistema immunitario lancia l’allarme e la formazione del microambiente in forma infiammatoria. Questo allarme viene lanciato dalle cellule dendritiche, mastociti, monociti e neutrofili che cominciano a degranulare sostanze come l’istamina con l’obiettivo vasodilatatore che permette alle altre cellule immunitarie di arrivare attraverso i vasi sanguigni.Le cellule possono inibire la replicazione virale all’interno del citosol e quindi rallentare notevolmente la diffusione. Per questo scopo hanno bisogno dell’interferone – 1 prodotto principe delle cellule dendritiche.Il sistema immunitario intercetta i virus allo stato libero, rimuove le cellule morte durante il combattimento e uccide le cellule contagiate prima che rilasciano i virus che si stanno moltiplicando all’interno del citosol.Per intercettare i virus e ucciderli, il sistema ha varie modalità, ma la più diffusa è la fagocitosi. Questa ha però un limite, cioè viene distrutto un virus alla volta e dopo poco la cellula immunitaria deperisce e muore proprio per l’operazione ossidante che essa stessa ha prodotto.L’altra arma che viene usata è il rilascio di granuli tossici da parte dei neutrofili, ma che sono dannosi anche per le cellule non infette e per la matrice extracellulare.L’altro strumento a disposizione è il deposito di Nat (cioè trappole extracellulari) ad opera dei neutrofili, ma anche in questo caso i limiti sono evidenti perché le Nat oltre a uccidere i virus danneggiano le cellule e inducono l’iperattivazione delle altre cellule innate.Il sistema innato non è quindi specializzato nel riconoscere le cellule infettate, compito demandato appunto dal sistema adattivo, ma comunque ha delle cellule che si attivano in tal senso, queste sono le natural killer che sono in grado di lisare le cellule infettate con il rilascio di granuli contenenti perforina e granzima.La citochina più importante per attivare la risposta adattiva è l’interferone 1, che ricordiamo attiva le cellule TH-CD4 (TH1 – TH2) e tutta la cascata citochinica necessaria ad una robusta e veloce risposta immunitaria adattativa. Oltretutto, l’interferone 1 stimola anche proprio l’attività delle natural killer e delle altre cellule dell’immunità innata.
  2. Seconda fase. La prima azione della seconda fase è insegnare ai linfociti TH- CD4 (TH1-TH2), TK- CD8 (KILLER) e linfociti B a riconoscere il patogeno, e questo avviene grazie alla presentazione degli antigeni e con l’elaborazione dei prodotti che si chiamano epitopi, esposti sulla membrana. Una volta incontrate le CD4 si trasferiscono gli epitopi.Le CD4 attivate migrano quindi nei linfonodi dove incontreranno le CD8 tossiche e linfociti B, permettendo loro la lettura degli epitopi, trasferendo l’informazione sul patogeno da combattere.(TH1 x i virus e le cellule neoplastiche attivano le killer CD8), (TH2 per batteri e allergeni, attivano linfociti B e TH17 (x i funghi).I linfociti K-CD8 citotossici sono l’arma più potente che abbiamo. Per permettere di far proliferare i CD8 serve la presenza dell’interleuchina2 mentre per attivare la risposta di CD8 e necessaria la presenza dell’interleuchina 12 e dell’interferone 2 gamma che viene prodotto dalle natural killer, dai CD4 (famiglia TH 1) e dalla CD8 man mano che si attivano.La cosiddetta risposta anticorpale è l’ultima che viene attivata. I linfociti B producono gli anticorpi IGM che si formeranno solo dopo una media di otto giorni dal contagio, mentre gli anticorpi IGG vengono prodotti addirittura dal 9° al 12o giorno successivo l’infezione e fino a un mese.
  3. Durante la terza fase, con la riduzione della viremia e la pulizia dei tessuti dalle cellule morte, il sistema immunitario deve tornare in equilibrio, e avvia la produzione di alcune citochine che devono indurre a cascata la formazione dei linfonodi CD4 T-reg. Questo avviene tramite la produzione da parte dei mastociti e dei monociti, oltre che da cellule tessutali dell’interleuchina 6, dell’interleuchina 2 e il TGF beta (fattore di crescita trasformante beta). Questo induce la formazione delle cellule T-reg che inizieranno a produrre interleuchina 10.Il sistema immunitario non guarda in faccia nessuno: anziché premiare le cellule immunitarie che hanno combattuto contro il virus, li induce ad un suicidio collettivo, soprattutto i neutrofili, le cellule natural killer, i linfonodi T-CD4 TH1 e di linfociti CD8 citotossici.Questo compito spetta proprio ai linfociti T-reg che producono a tal scopo l’interleuchina 10. Solo quando l’infiammazione si sarà spenta sarà possibile ricostruire. Infatti terminato il conflitto si ricostruiscono le città. Nel caso del corpo c’è bisogno di fibroblasti che devono produrre sostanze della matrice extracellulare, come il collagene. Per questo è necessario che venga prodotto il fattore di crescita trasformante beta che induce la proliferazione dei fibroblasti.Anche le piastrine svolgono il loro compito nel riparare la permeabilità vascolare ripristinando il funzionamento dei vasi.

Quando il sistema non funziona alla perfezione salta la comunicazione tra il sistema innato e quello adattivo.

Nella prima fase viene attivato il sistema innato che deve, in progressione, svolgere le seguenti fasi:

  • lanciare l’allarme formazione microambiente infiammatorio,
  • restrizione della replicazione virale all’interno delle cellule infette,
  • reclutamento di cellule effettrice del sistema immunitario innato,
  • priming della risposta immunitaria adattiva. (Questo processo salta quando il sistema non funziona).

Nella seconda fase si attiva il sistema immunitario adattativo che svolgerà le seguenti funzioni:

  • specializzare le cellule TH1 e TH2 al riconoscimento del patogeno specifico (questo passaggio salta),
  • attivare e far migrare le T-CD8 (Killer) citotossiche che inizieranno uccidere cellule infette (questo passaggio salta).
  • far maturare le cellule B e iniziare la produzione degli anticorpi compresi quelli neutralizzanti (questo passaggio salta)

Nella terza fase si spegne l’infiammazione si ripristina l’omeostasi e si ricostruiscono i tessuti.

  • questo avviene grazie alla differenziazione delle T-reg con produzione dell’interleuchina 10 (grazie alla IL6 e istamina).
  • apoptosi delle cellule del sistema immunitario grazie all’istamina e interleuchina 6.
  • produzione del TGF beta, attivazione delle piastrine ed altre citochine stimolanti fibroblasti grazie all’interleuchina 6.

Quando il sistema immunitario salta, aggiungiamo una quarta fase di reclutamento violento di cellule effettrice del sistema immunitario innato come risposta immunitaria compensatoria di quella adattiva (perché o si è attivata troppo tardi o in maniera troppo debole).

Per quanto il sistema innato cerchi di fronteggiare il virus, la guerra è persa in partenza perché se non si attiva il sistema adattivo che uccide cellule infette, è impossibile fermare la replicazione virale che crescerà esponenzialmente.

La tempesta citochinica è nel suo pieno sviluppo, inducendo sia la fibrosi dei tessuti, sia l’inibizione del sistema adattivo procrastinando i processi infiammatori indotti dall’immunità innata. Questo accade perché viene degradato o non prodotto l’interferone 1. Interleuchina, necessario per l’attivazione del sistema adattivo, infatti l’interferone 1 rappresenta la citochina infiammatoria più importante prodotta dalle cellule dendritiche.

Il problema risiede nel corretto funzionamento di queste cellule dendritiche e la loro disfunzione è il motivo principale dell’alterazione del sistema immunitario. Molte volte le cellule dendritiche vengono alterate per senescenza, per inquinamento o per esaurimento delle cellule staminali progenitrici.

Altri motivi per cui l’interferone 1 non viene prodotto e perché c’è troppo cortisolo in circolo, troppi radicali liberi, troppa istamina e troppo ormone androgeno diidro-testosterone (testosterone ossidato), tutte alterazioni che portano alla distruzione delle cellule dendritiche e quindi alla loro incapacità di produrre interferone 1.

La mia strategia è fermare gli attacchi che il sistema immunitario deve affrontare ripulendo la dieta, curando l’intestino, alleggerendo il carico tossico, curando le infezioni e riducendo lo stress generale”. – Amy Myers (The Autoimmune Solution: Prevent and Reverse the Full Spectrum of Inflammatory Symptoms and Diseases)

31Mar

INDICE E CARICO GLICEMICO

La dieta è l’unico gioco in cui vinci quando perdi”. – Karl Lagerfeld

CHE COS’È L’INDICE GLICEMICO

Un cibo con IG (indice glicemico) alto produce un alto picco di glucosio nel sangue. Al contrario, un alimento con un basso IG provoca un lento rilascio di glucosio nel sangue dopo il suo consumo.

L’indice glicemico è una scala che classifica il numero di carboidrati negli alimenti da zero a 100, indicando la velocità con cui un alimento fa aumentare la glicemia di una persona. Gli alimenti ad alto indice glicemico possono causare picchi di zucchero nel sangue dannosi nelle persone con diabete. Gli alimenti ad alto indice glicemico rendono anche più difficile per una persona mantenere un peso sano.

L’IG fornisce informazioni su come il corpo digerisce i carboidrati utilizzando un sistema di punteggio da zero a 100. Lo zucchero puro ha un punteggio di 100.

Gli esperti di nutrizione classificano i carboidrati come complessi o semplici. Ad esempio, lo zucchero da tavola è un carboidrato semplice, mentre i fagioli e i cereali sono carboidrati complessi. Mentre i ricercatori una volta credevano che i carboidrati complessi avessero meno probabilità di causare picchi di glucosio nel sangue, ulteriori ricerche hanno scoperto che la relazione tra carboidrati e glucosio nel sangue è più complessa. L’IG spiega questa complessità classificando gli alimenti in base alla velocità con cui elevano la glicemia.

Più alto è l’IG di un alimento, più rapidamente aumenta la glicemia. Un alimento ad alto indice glicemico può causare picchi di zucchero nel sangue, seguiti da rapidi cali di zucchero nel sangue.

Quando la glicemia diminuisce, una persona può avere fame. Mangiare solo cibi ad alto indice glicemico può indurre una persona a mangiare troppo poiché si sentirà rapidamente di nuovo affamata dopo aver mangiato.

Seguire una dieta con un IG medio basso può ridurre il rischio di sviluppare diabete e malattie cardiache. Nelle persone che hanno già condizioni croniche, una dieta a basso indice glicemico può ridurre il rischio di complicanze e prevenire picchi di glucosio nel sangue.

I punteggi dell’INDICE GLICEMICO sono i seguenti:

  • Alimenti a basso IG: 55 o meno
  • Alimenti a IG medio: 56–69
  • Alimenti ad alto IG: 70 o superiore

La Glycemic Index Foundation suggerisce che orientarsi ad un punteggio IG di 45, può offrire benefici per la salute più significativi. Ciò non significa che una persona possa mangiare solo cibi con un punteggio IG di 45 o inferiore, piuttosto una persona dovrebbe bilanciare l’assunzione di cibi con IG più alto con cibi con un IG più basso.

È importante notare che l’IG di un alimento specifico è una stima. Diversi fattori possono influenzare l’IG di un determinato alimento:

  • La cottura tende ad aumentare l’IG. Lo stesso tipo di pasta avrà un IG più basso se è al dente rispetto a se viene cotta al punto da renderla morbida.
  • L’elaborazione in genere aumenta l’IG. Ad esempio, il succo di frutta ha in genere un IG più alto rispetto alla frutta intera.
  • I cibi maturi di solito hanno un IG più alto. L’IG di una banana, ad esempio, aumenterà man mano che la banana matura.
  • L’associazione di cibi diversi piò influenzare l’IG. La fibra riduce L’IG totale di un pasto.

ESEMPI DI INDICE GLICEMICO DI ALCUNI ALIMENTI

ALIMENTI A BASSO INDICE GLICEMICO

  • verdure non amidacee, come patate dolci e carote
  • orzo
  • pasta e cereali integrali
  • bulgar
  • legumi
  • Lenticchie
  • molti fagioli, come lima e fagioli di burro
  • crusca d’avena
  • muesli
  • riso integrale o selvatico
  • la maggior parte della frutta

ALIMENTI AD ALTO INDICE GLICEMICO

  • cereali lavorati, come riso bianco, pane bianco e pasta bianca
  • riso soffiato
  • farina d’avena istantanea
  • Popcorn
  • crackers salati
  • salatini
  • verdure amidacee, come le patate
  • zucca
  • fiocchi di mais
  • meloni
  • ananas
  • fiocchi di crusca

L’IG può aiutare a prendere decisioni salutari sulla dieta e nutrizione generale. Le persone con diabete, coloro che cercano di perdere peso e le persone a rischio di malattie cardiache, possono trarre vantaggi significativi da una dieta a basso indice glicemico, sebbene i benefici si estendano a tutti, non solo alle persone con malattie croniche.

Mangiare una dieta a basso indice glicemico non deve significare evitare tutti i cibi ad alto indice glicemico. Invece, l’obiettivo dovrebbe essere quello di rimanere in equilibrio nel tempo, con una forte attenzione agli alimenti ricchi di fibre con un basso indice glicemico. Il medico dietologo può aiutare a pianificare una dieta nutriente che includa un’ampia varietà di alimenti a basso indice glicemico così da aiutare il paziente a raggiungere in maniera stabile i suoi obiettivi di peso e salute.

INDICE GLICEMICO E CARICO GLICEMICO: CHE DIFFERENZA C’È?

Indice glicemico e carico glicemico sono due paramenti strettamente collegati fra loro ma che hanno ruolo e significato diverso.

INDICE GLICEMICO

L’IG è un parametro elaborato agli inizi degli anni ’80 dal prof. Jenkins dell’Università di Toronto che classificò gli alimenti in base alla velocità con cui i carboidrati e gli zuccheri contenuti in un alimento passano nel sangue e innalzano la glicemia. Per essere più precisi, questo criterio indica la velocità con la quale 50 grammi di carboidrati, provenienti da un determinato alimento, sono capaci di aumentare la glicemia rispetto ad altri 50 grammi di carboidrati derivati però da un altro alimento standard, come per esempio il glucosio.

Ci sono alimenti che innalzano la glicemia più velocemente di altri, in funzione della quantità di fibre e altri nutrienti in essi contenuti. Per molto tempo si è ritenuto che tutti i carboidrati semplici (dolci, bibite, succhi, ecc.) fossero uguali e facessero salire rapidamente il glucosio nel sangue; viceversa, si riteneva che tutti i carboidrati complessi (verdure, legumi, cereali integrali, ecc.) lo facessero salire lentamente e in modo graduale. Ad esempio, le carote o la zucca sono state erroneamente eliminate dalla dieta di chi vuole perdere peso proprio perché hanno un indice glicemico alto ma sono uno di quei casi in cui conoscere la differenza tra indice glicemico e carico glicemico può essere determinante.

CARICO GLICEMICO

Tornando all’esempio delle carote e della zucca, infatti, se avessimo analizzato anche il carico glicemico saremmo giunti a conclusioni diverse, poiché questo valore misura l’effettiva quantità di carboidrati che un alimento contiene, nella porzione che si mangia.

Infatti, il carico glicemico degli alimenti (CG) valuta l’effetto sulla glicemia di un alimento basandosi sulle quantità effettivamente consumate.

In sintesi: mentre l’Indice Glicemico è la misura della qualità dei carboidrati, il Carico Glicemico è la misura della loro quantità e tiene conto, dunque, sia dell’IG che del contenuto di zuccheri per porzione consumata.

COME SI CALCOLA IL CARICO GLICEMICO

Per studiare il carico glicemico di un pasto si usa una formula matematica (Indice glicemico /100 x g di carboidrati a porzione), ma va precisato che a seconda delle dimensioni della porzione il carico glicemico di alimenti diversi può risultare simile nonostante l’indice glicemico degli stessi sia molto diverso.

Facciamo qualche esempio:

  •   Pane bianco. Una porzione di 50 g di pane bianco contiene 24 g di carboidrati. L’IG del pane bianco è pari a 70. Il carico glicemico calcolato per porzione è: 70/100×24=17
  •   Pane ai cereali. Una porzione di 100 g di pane ai cereali contiene 43 g di carboidrati.  L’IG del pane ai cereali è pari a 45. Il carico glicemico calcolato per porzione è: 45/100×43=19

Secondo questo esempio, una porzione di pane ai cereali ha un carico glicemico di 19, mentre una porzione di pane bianco ridotta ha un carico glicemico pari a 17. Se aumentassimo la quantità della porzione di pane bianco, anche il carico glicemico aumenterebbe, raddoppiando.

Proviamo a fare un altro esempio prendendo in esame un altro alimento:

  •   Zucca. Una porzione da 200 g contiene 7 g di carboidrati. L’IG della zucca è 85. Il carico glicemico calcolato per porzione è: 5,95.

Lo stesso discorso fatto per la zucca vale anche per altri alimenti che hanno un IG elevato ma un basso CG: papaia, melone, barbabietola, carote, anguria, rapa, sedano rapa. È quindi chiaro che il carico glicemico può essere influenzato dalla composizione nutrizionale dell’alimento. Il pane ai cereali è più ricco di fibre e altri nutrienti come grassi e proteine: questi nutrienti rallentano la velocità con cui i carboidrati vengono assorbiti e con cui la glicemia si innalza, contribuendo a un abbassamento del carico glicemico.

TORTA CAPRESE A BASSO CARICO GLICEMICO

Perché non mangiare un dolce fatto in casa, semplice, con impatto insulinico e carico glicemico bassi?

Di seguito la ricetta della torta CAPRESE a “basso carico glicemico”:

(PER 6 PERSONE)

Ingredienti

  • 4 UOVA
  • 150 GR DI CIOCCOLATO AL 90% (una tavoletta)
  • 125 GR DI STEVIA O FRUTTOSIO NATURALE IN CRISTALLI O ERITRITOLO O UN MIX DEI TRE (ESISTONO PRODOTTI)
  • 200 GR DI MANDORLE TRITATE
  • 1 BUSTINA DI PAN DEGLI ANGELI
  • 1 CUCCHIAIO DI CACAO AMARO
  • 150 GR DI BURRO
  • 1 FIALA DI VANILLINA

Preparazione

Accendere il forno e portarlo a 160 gradi.

Mettere in una ciotola di ceramica di media grandezza le 4 uova intere e il fruttosio e cominciare a mescolare con un frustino. Nel frattempo aggiungere un cucchiaio di cacao amaro e la fiala di vanillina.

Mettere a bagnomaria il burro, e, una volta sciolto e raffreddato, aggiungerlo alla ciotola.

Contemporaneamente, in un altro tegamino, mettere la tavoletta di cioccolato sempre a bagnomaria, e, una volta sciolta e raffreddata, aggiungerla al composto nella ciotola.

Frullare le mandorle e inserirle mentre si mescola tutto.

Quindi amalgamare il tutto e, ottenuta una buona miscela, aggiungere mezza busta di pan degli angeli, continuando a frullare fino a ottenere una crema corposa.

Mettere il tutto in una teglia e infornare per 50 minuti (non aprire mai il forno).

Dopo i 50 minuti togliere dal forno, lasciare raffreddare e, se si vuole, aggiungere sopra una spruzzata di stevia in polvere.

Perché è a basso carico glicemico? Perché usiamo il fruttosio o altri dolcificanti naturali. 

FRUTTOSIO

Il fruttosio, a differenza del glucosio, viene assimilato nell’intestino e immesso nel sangue, e invece di entrare nelle cellule tramite l’insulina (come fa il glucosio), va direttamente nel fegato trasformandosi in glicogeno (riserva di zuccheri del fegato).

Quindi ha un indice glicemico basso perché non stimola eccessivamente l’insulina. Attenzione, però: un uso eccessivo di fruttosio, quando al fegato non ne serve più, fa sì che esso sia trasformato in trigliceridi e immesso nelle cellule adipose (facendoci ingrassare).

Ma questo accade soprattutto quando mangiamo merendine di produzione industriale, che nascono come prodotti (assertivamente) light e sono ricche di grosse quantità di “fruttosio liquido industriale” che fa ingrassare molto di più del saccarosio (zucchero da cucina).

ERITROLOLO 

L’eritritolo è un polialcol naturalmente presente nella frutta e nei cibi fermentati. È utilizzato come dolcificante naturale in quanto ha zero calorie e un ottimo sapore, privo di retrogusti.

STEVIA

La Stevia rebaudiana è una pianta erbaceo-arbustiva perenne, di piccole dimensioni, della famiglia delle Asteraceae, nativa delle montagne fra Paraguay e Brasile. È un dolcificante ipocalorico naturale.

BURRO

Il burro è uno di quegli alimenti tradizionali criminalizzati e penalizzati ingiustamente da oltre 50 anni di propaganda grassofobica.

Lo abbiamo tolto completamente dalle nostre ricette e dalla nostra tavola, sostituendolo con grassi vegetali (olio di palma) o idrogenati (margarina) erroneamente ritenuti più “innocui” , ma, in realtà, tutt’altro che salubri.

1. Il burro è una fonte di vitamina A, di vitamina K2, sazia velocemente (stimolando CPK, l’ormone della sazietà) ed è ricco di antiossidanti.

2. Contiene butirrato, un acido grasso saturo a catena corta di cui sono ghiotte le cellule del colon. Infatti il burro è la principale fonte alimentare di butirrato, ne può contenere fino al 4%. Questo acido grasso ha varie documentate funzioni: soppressione dei processi infiammatori dell’intestino, riduzione della la permeabilità intestinale e miglioramento della sensibilità insulinica. L’acido butirrico è anche prodotto dalla flora intestinale (e in particolare dalla fermentazione di fibre vegetali). Tuttavia, la flora intestinale non è sempre in equilibrio nell’uomo moderno, per cui il burro può svolgere un’utile funzione suppletiva nel tempo necessario a ristabilirla attraverso dieta e cure appropriate. Il consumo di un buon burro fornisce acido butirrico immediatamente utilizzato dalle cellule del colon.

Ovviamente sto parlando di “burro vero”, cioè quello ricavato dalla panna, di origine biologica o proveniente da animali tenuti per lo più al pascolo e non trattati con i farmaci.

Quindi la buona abitudine di sostituire i grassi vegetali (tra cui olio di semi, di palma e margarine) con burro vero, nutre, sazia e non provoca alterazione dell’insulina.

CIOCCOLATO

Il cioccolato fondente può aiutare ad abbassare la pressione arteriosa.

La risaputa azione protettiva cardiovascolare del cioccolato sarebbe riconducibile alle epicatechine, antiossidanti presenti oltre che nel cacao, anche nel tè, nel vino rosso e in alcuni frutti e verdure.

Buon appetito e buona domenica .

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